24 marzo 2024

«I cuori battono nelle uova» di Alberto Fumagalli

© Serena Pea
Roma, Teatro Belli
(Rassegna Expo)
23 marzo 2024

LA POESIA DELL’ANTI-MITO NELL’UOVO DI ALBERTO FUMAGALLI

La dea Atena nacque dal capo di Zeus, Dioniso dalla sua coscia, Afrodite dai genitali di Urano che caddero in mare. Il mito greco ci insegna che nell’Olimpo si poteva anche fare a meno della donna per mettere al mondo una creatura: i racconti mitologici ci son giunti tramite la trascrizione di antichi testi scritti in versi. Soltanto l’arte dei poeti ha potuto incantare generazioni e generazioni di giovani, vecchi, bambini con storie inverosimili ma dense di significati e di dottrina. Il percorso creativo di Alberto Fumagalli sembra arrampicarsi su per l’albero genealogico della poesia epica per arrivare fino al mito di Atena, di Dioniso e di Afrodite e costruire espressamente per loro un piccolo anti-mito. E, rivolgendosi direttamente agli dèi, con la grazia musicale del loro stesso linguaggio – la poesia – pare che voglia dire: guardate, care divinità, con tutto il rispetto per i vostri insegnamenti, sappiate che della mamma non si può fare a meno, perché i cuori battono nelle uova! L’autentico mito di noi umani è proprio il modello della maternità, con quel bel pancione gonfio, pronto a donar la vita e a far nascere il futuro «da una palla di cristallo» fatta di acqua e pelle.

Fumagalli ce ne mostra tre, contemporaneamente. Tre puerpere, molto differenti per educazione e tradizione, ognuna con la pancia in bella vista (Giulio Morini ne è l’artefice), quella sproporzionata che ricorda uova gigantesche, degli ultimi giorni, poco prima del parto. Sono tre donne: una isterica (Elena Ferri, super brava), l’altra un po’ mignotta (Matilda Farrington, bravissima), la terza quasi clericale (Grazia Nazzaro, altrettanto brava). Tutte e tre in attesa, ma soltanto Grazia (siccome in scena non hanno nomi le chiameremo con il nome dell’attrice), pare incarnare la classica dolce attesa, le altre preferiscono mostrare rispettivamente il loro lato più aspro e lascivo. Elena odia le donne, perché odia sua madre, ed è convinta di avere in grembo un bel maschietto che la riscatti, vivace, che scalcia, morde, tira pugni al punto che obbliga sua madre a metterlo già in punizione minacciandolo di farlo restare senza cena. Matilda, dall’alto della sua bellezza, dichiara con spensierata beatitudine che il padre di suo figlio, be’, «era uno col cappello», lasciando stupefatte le altre due che la riempiono d’improperi. Facile immaginare quali! Grazia, invece, nomen omen, suggerisce di far ascoltare musica classica al feto, in modo da farlo crescere serenamente. Tre donne, tre mondi completamente diversi, eppure tutte e tre esaltate dal loro stato interessante.

Gli sviluppi delle personalità proseguono con coerenza fino al parossismo; fino a raggiungere un’inverosimile soluzione tipica di quel mondo pagano narrato dalle leggende del mito. Le tre mamme, infatti, tanto umane all’inizio, diventano ninfe prima ed erinni al finale, seguendo le evoluzioni di una giostra (ideata da Eleonora Rodigari) che segna il passar del tempo, le fasi lunari con le sue ombre lunghe proiettate sul fondale, prepara i cambiamenti della gestazione secondo i provvedimenti della Fortuna che muta beni e situazioni a suo insindacabile giudizio, cosicché gli animi delle mamme traballano e la disperazione della maternità prende il sopravvento.

A questo punto, però, vien fuori il limite del critico, il quale può, sì, condire a suo piacimento il riassunto della storia, portata in scena dalla Compagnia Les Moustaches, commentando qua e là per renderla interessante e accattivante, ma non può colorire di elogi, come merita, il linguaggio usato da Fumagalli, la sua poesia: l’arma vincente della pièce. Assai raffinata, spiritosa, ironica, sarcastica. Sinceramente non so se il testo sia interamente scritto in versi – anche se molti ce ne sono, pure di endecasillabi, m’è parso – ma quel che conta è la musicalità del linguaggio che s’innalza dal realismo con la leggerezza di «una bolla di sapone» che spinta dal soffio dell’autore raggiunge l’Olimpo per consegnare agli dèi capricciosi (che però di poesia se ne intendono) il messaggio del nostro anti-mito: mamme tanto diverse, ma sempre mamme con un unico «uovo» di cui non si può fare a meno.

Ludovica D’Auria, con il Fumagalli, ha curato la regia che pure è condotta dal linguaggio. Le attrici eseguono i movimenti adeguandosi al ritmo delle parole che suggeriscono ogni gesto, per cui nulla appare stonato: la parte visiva è perfettamente accordata con quella sonora. Anche le luci (sempre Rodigari) si intonano bene al complesso recitativo, e quando partono gl’interventi musicali, colori pastello appena più accesi riscaldano la scena con un gioco di ombre che, per un attimo, sospendono «le chiacchiere del mare» che s’odono all’interno delle uova. (fn)
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I cuori battono nelle uova di Alberto Fumagalli, con Elena Ferri, Matilda Farrington, Grazia Nazzaro. Scene e luci, Eleonora Rodigari. Costumi, Giulio Morini. Regia di Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli

Expo – Teatro italiano contemporaneo. Rassegna a cura di Franco Clavari e Andrea Paolotti. Organizzazione, Federico Le Pera. Ufficio stampa, Maresa Palmacci. che promuove la nuova drammaturgia: i giovani autori e le compagnie che operano sul territorio nazionale

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