06 marzo 2024

«The holdovers» di Alexander Payne


Roma, cinema Adriano
5 marzo 2024

PAUL GIAMATTI SOSTIENE «I RESIDUI» DELLA RETORICA

Qualche fine scienziato della distribuzione italiana di The holdovers ha avuto la bella pensata di aggiungere, al titolo originale, una postilla: Lezioni di vita. Non essendo la traduzione letterale del nome con cui è stato battezzato il film, e avendo – questa geniale pensata – un significato abbastanza fuorviante dall’argomento principe, mi chiedo se davvero si sentisse la necessità di rendere banale un titolo, forse per noi criptico, ma molto più significativo. Sono ormai anni che in Italia le pellicole americane spesso mantengono l’autenticità della loro egida in cartellone, a volte anche poco comprensibile (come in questo caso), ma offrire al pubblico una spiegazione distorta, che lambisce la retorica più melensa come richiamo per le allodole, non è né corretto e nemmeno furbesco. Non sono lezioni di vita che i protagonisti si scambiano, ma è la tragedia del confronto generazionale ad essere il fulcro di una conoscenza coatta, nata sotto cattiva stella, che però finisce per creare un affetto sincero, determinato da un rapporto di sottile cameratismo tra due sfigati di epoche diverse.

Letteralmente the holdovers significa i residui: ossia coloro che giungono da lontano. Certo, in un paese come il nostro, dove ogni giorno sbarcano centinaia di holdovers è facile capire il motivo per cui si sente l’esigenza di modificare un simile titolo. Lo stupido «parlar pulito» sta sempre in agguato! I residui, protagonisti di questo film, sono un anziano professore di storia e un alunno «difficile». Alexander Payne ambienta la storia nel 1970 e, adoperando la tecnica cinematografica di quegli anni, sembra di vedere una pellicola d’antan, proprio come quella di «Piccolo grande uomo» con Dustin Hoffman, che i nostri protagonisti scelgono per distrarsi un po’ in quel di Boston. Sullo sfondo, una guerra che non si vede e non si sente, ma che è sempre presente: il disastro vietnamita miete drammi a ripetizione e l’angoscia si ripercuote ovunque, anche nel college liceale all’approssimarsi delle vacanze natalizie. Tutti gli studenti si apprestano a partire, tuttavia un gruppetto di cinque ragazzi non sa dove andare a trascorrere le festività, ed è obbligato a restare a scuola in compagnia dell’anziano professor Hunha (Paul Giamatti) – inflessibile insegnante convinto della sua missione, dal carattere tetragono che cerca di «produrre uomini di solida tempra», ma di cultura storica assai elevata. Con loro, la cuoca dell’istituto (Da’Vine Joy Randolph), madre di un giovane soldato di cui vediamo soltanto l’esplicativa fotografia in divisa militare.

Quando tutti partono e al college restano soltanto in sette, si comincia a percepire chi siano «i residui»: presto, però, i più fortunati riusciranno a prendere il volo, grazie al ricco papà di uno di loro, per una vacanza sulla neve. Così il gruppo degli holdovers si riduce a tre: due adulti che badano al giovane e ribelle Angus Tully (Dominic Sessa). Un prologo, in verità, fino a questo punto della sceneggiatura, un po’ troppo lungo per arrivare all’autentico confronto, quando professore e alunno (la cuoca fa da sparring partner per entrambi) sono costretti, per circa dieci giorni, a convivere e a sopportarsi reciprocamente. Ma anche a scoprire le proprie debolezze: ciascuno espone involontariamente difetti, paure e l’oscuro passato. Elemento storico, quest’ultimo, di cui il professore conosce perfettamente il valore: così, il vissuto di Angus, fa breccia nell’apparente e impenetrabile sensibilità di Hunha che si ammorbidisce facendo breccia nell’animo recalcitrante del ragazzo. Finiscono per rivelarsi l’un l’altro più profondamente fino a scoprire se stessi.

Nell’occhio dello spettatore, a questo punto, potrebbe tornare alla mente il motto socratico che Payne pone sulla lavagna, alle spalle del professore, a inizio film: conosci te stesso. Tuttavia, l’ammonimento filosofico corroborato dalle tante citazioni classiche di Hunha, e dai suoi insegnamenti, fanno del film un ottimo manuale di saggezze, condite con abbondanti dosi di ovvie affinità. Per fortuna, a sostegno della retorica (cito: «I ricchi se ne fregano di tutto e i poveri sono carne da macello»), regge bene l’interpretazione di Paul Giamatti. In effetti le emozioni della pellicola sono frutto della sua incantevole prova d’attore giustamente segnalata agli Oscar.

Al termine, dopo un finale abbastanza scontato, mi soffermo ancora sul sottotitolo e rintraccio, nel ricordo delle letture giovanili, la migliore trascrizione di The holdovers offerta da una famosa raccolta di Baudelaire: Les épaves, letteralmente i relitti. Una poesia in particolare della silloge recita così: «Sciocco, tu te ne vai al Diavolo! Volentieri ti seguirei se questa spaventosa velocità non mi mettesse in crisi». Sono parole che Hunha potrebbe dire ad Angus che corre veloce verso il futuro e che l’alunno potrebbe gridare al professore vendendolo andare via dal college sputando sul suo stesso passato. (fn)
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The holdovers un film di Alexander Payne. Sceneggiatura, David Hemingson. Con Paul Giamatti (Paul Hunha), Dominic Sessa (Angus Tully), Da’Vine Joy Randolph (Mary Lamb), Carrie Preston (Lydia Crane), Brady Hepner (Teddy Kountze), Ian Dolley (Alex Ollerman). Fotografia, Eigil Bryld. Montaggio, Kevin Tent. Musiche, Mark Orton. Scenografia, Ryan Warren Smith. Costumi, Wendy Chuck. Regia, Alexander Payne

Foto: © ???

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