IL MONDO DI BELLA È IL CINEMA DELLE MERAVIGLIE
Film straordinario per la sua semplice complessità. L’ossimoro cinematografico è di Yorgos Lanthimos che firma per il grande schermo una raffinata opera «letteraria» di ottima fattura, nella quale affronta talmente tante tematiche che per comprenderle tutte e rivelarne la profondità si abbandona al puro surrealismo. Non c’è mai una inquadratura realistica: ogni cosa è deformata dall’abuso delle ottiche grandangolari. Tutto è ampliato, curvato, dilatato come in una visione onirica e irrazionale. Ma quanta verità si può leggere in questa fiaba, ispirata all’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Gray.
L’autore del film prende spunto dal capolavoro di Mary Shelley, trasformando il dottor Victor Frankenstein già in un essere orripilante, dal volto sfigurato dalle cicatrici, dalla bocca deturpata. Ma non è lui il mostro creato dalla sua aberrante scienza, costei si chiama Bella, di nome e di fatto: creatura incantevole, che molto somiglia, nel leggendario imaginario, all’Alice di Carroll Lewis. Bella, incespicando, muove i primi passi in un corpo di donna adulta, ma con il cervello di un neonato. Balbetta parole in modo infantile, esegue le monellerie tipiche di un bimbo. Attorno a lei gli adulti la trattano come fosse un vivace pargolo, invece, lei è già formata, apparentemente sviluppata e presto quel corpo reclamerà forti esigenze sessuali.
In una Londra dei primi anni del Novecento, il dottor Godwin Baxter, che tutti chiamano «God», racconterà al suo assistente Max di aver trovato sulla riva del Tamigi il cadavere di una donna incinta appena deceduta; constatato che il feto fosse ancora vivo è riuscito a trapiantare per tempo il cervello del figlio nel cranio della madre, riportandola in vita. Creando così, in un’unica persona madre e figlio. Se il soprannome di Baxter è Dio, allora la sua creazione è un’audace rilettura di qualche pagina del Vangelo, senza angeli e soprattutto senza falegnami.
Fin qui è solo l’inizio di Povere creature!, quando ancora le sequenze appaiono in bianco e nero, e riassumere l’intera trama sarebbe impresa estremamente ardua. È sufficiente dire che la crescita di Bella è molto precoce, così come il suo istinto erotico e il suo desiderio di conoscenza. Sete e fame di vedere, toccare e scoprire sono le prerogative che fanno muovere la protagonista (Emma Stone in stato di plena gratia) in una escalation prima sensuale poi intellettuale. In questa fase di apprendimento, Lanthimos, con realistica visione, accosta alla libidine carnale i piaceri della lettura, affinché la scoperta del mondo avvenga già con una mente in evoluzione. Così si capisce l’effetto che in Bella procura la vista dell’inferno rappresentato in una vallea d’Alessandria d’Egitto, con un’immagine apocalittica della miseria e della malattia. E lei, come Gesù dopo la visita ai lebbrosi, non può più ritornare alla vita di prima: lui non rientrerà più in città, lei non conoscerà mai più spensieratezze.
In una florida e a volte lussureggiante scenografia (Shona Heath, James Price hanno ottime possibilità di aggiudicarsi l’Oscar) propria del modernismo catalano di Gaudì, Bella s’aggira, come Alice, in un paese dove le meraviglie sembrano scomparire una dopo l’altra, seguendo il costante processo della maturità. Un grado di conoscenza, perfettamente raggiunto con l’esperienza in un postribolo parigino dove, addirittura, una bellissima puttana dalla pelle d’ebano insegna a Bella, bianchissima, il concetto del socialismo.
S’è detto in precedenza dello sviluppo iniziale della pellicola in bianco e nero che traduce al passato l’infanzia di Bella per poi aprirsi ai colori della vita; anzi, al coloratissimo, grazie a una fotografia (Robbie Ryan, candidato anche lui alla statuetta) festosamente luminosa, cromaticamente fiammeggiante. Tuttavia, il bianco e nero è anche un omaggio a una cinematografia d’ispirazione espressionista: dal Murnau di Nosferatu, col mostro che cammina sui tetti, al Fritz Lang di Metropolis, con le funivie che sfiorano le costruzioni per attraversare le città.
Tra gli attori, oltre alla Stone (in odor di statuetta come migliore attrice) che recita alternando una sensuale leggerezza all’improntitudine tipica della più capricciosa adolescenza, segnaliamo la magnifica prova di Mark Ruffalo, avvocato dongiovanni che da tombeur de femmes scivola, facendosi molto male, nella fossa della gelosia (anche lui segnalato «non protagonista» nella cinquina degli Oscar). Poi Willem Dafoe, affascinante e mostruoso Godwin Baxter; e un cameo di Hanna Schygulla nelle vesti di una inconsueta altera nobildonna. La sua presenza conferma il sospetto che tra le tante influenze che hanno ispirato il lavoro di Lanthimos c’è anche la caratteristica trasgressione del cinema di Fassbinder.
Non manca l’ironia, una sagace retrospettiva sul nostro cammino da commiserare. Quante metamorfosi, infatti, possiamo osservare nella doppia vita di Bella, che prima fu l’infelice Vittoria – moglie che non seppe reggere il peso della tirannia del marito e quindi si buttò nel fiume con un bambino nel ventre – mentre ora, con una nuova testa freschissima di fanciullezza e incapace di prendere le avversità troppo seriamente, ci mostra quanto tutte le impervie difficoltà possano essere meglio superate con l'animo sfrontato. In fondo siamo noi a non saper maturare per davvero, noi, povere creature, spinti dalle faticose esperienze a invecchiare troppo presto, ad aver paura dei cambiamenti, dei rischi, delle novità. (fn)
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Povere creature! di Yorgos Lanthimos, dal romanzo di Alasdair Gray. Con Emma Stone (Bella Baxter / Victoria Blessington), Mark Ruffalo (Duncan Wedderburn), Willem Dafoe (dott. Godwin «God» Baxter), Ramy Youssef (Max McCandles), Christopher Abbott (Alfie Blessington), Kathryn Hunter (Madame Swiney), Jerrod Carmichael (Harry Astley), Hanna Schygulla (Martha von Kurtzroc). Sceneggiatura, Tony McNamara. Fotografia, Robbie Ryan. Montaggio, Yorgos Mavropsaridis. Effetti speciali, Gabor Kiszelly. Musiche, Jerskin Fendrix. Scenografia, Shona Heath, James Price. Costumi, Holly Waddington. Trucco, Mark Coulier. Regia, Yorgos Lanthimos