23 marzo 2024

«Fuoco sublime» di Raffaella Bonsignori

Raffaella Bonsignori, Federico Poggetti e Maximilian Nisi (© Annamaria Pieri)

Roma, Montecitorio
Sala Matteotti, 19 marzo 2024

MICHELANGELO: IN VITTORIA C'ERA LA BELLEZZA DI OGNI ESSERE UMANO

Folgorata dall’interpretazione che Rutger Hauer fece di Michelangelo nel docufilm del 2012, Il cuore e la pietra, Raffaella Bonsignori ha scritto un dialogo per il palcoscenico dedicato non solo al genio, ma soprattutto alla sensibilità emotiva del Buonarroti. Ha realizzato un sogno, dice, che probabilmente covava da lungo tempo, e che ha trovato ispirazione nelle immagini del vecchio artista rappresentato da Hauer. Il Michelangelo del suo Fuoco sublime, titolo dell’opera (edita da Critica e Cultura, 2021), è un uomo giunto ormai agli sgoccioli dell’esistenza, stanco nel fisico, forse addirittura già in debito con le energie dei muscoli, ma la sua vitalità d’animo è ancora accesa dalla fiamma delle passioni che bruciano di sentimento più che mai vivo. È un artista stordito dai ricordi che, per disperazione, come in un impeto di sopravvivenza, hanno la forza di materializzarsi nelle confidenze che lo scultore espone al fedele aiutante, quel Francesco Amadori, detto l’Urbino.

Già inserito nel prestigioso catalogo della Biblioteca di Caprese, nella casa natale del Buonarroti, il testo rivela stralci dei suoi componimenti poetici, nonché alcune curiosità artistiche, specie in ambito pittorico: come i ritratti dei sostenitori e dei detrattori di Michelangelo disseminati nei visi dei personaggi rappresentati. E, perfettamente in linea con il concetto sposato dal maestro che l’arte è sempre una lettura della realtà, la Bonsignori utilizza frammenti di vita conditi ai pensieri e alle ossessioni del genio protagonista del Rinascimento, per condire di notizie e di dense emotività la sua opera letteraria.

Tuttavia, la stesura del dialogo, avvalendosi degli scritti michelangioleschi da cui è tratta la filosofia dell’artista sul senso estetico e morale della bellezza ideale e inafferrabile, sui limiti dell’arte, sulla caducità della vita, in particolare della vecchiaia che riduce le membra a «un ammasso di dolori», si concentra soprattutto sull’amore. Un amore dichiarato, ma nemmeno troppo, tanto nei sonetti quanto nei dipinti. Un legame – rimasto probabilmente insoddisfatto, quello con Vittoria Colonna – più spirituale che carnale, malgrado un’intesa intellettuale forte e pienamente condivisa, oltre che a un’attrazione intensa «che sembrò quasi un dolore». Un’amicizia alla quale l’artista consacrò comunque la sua arte: quando «i miei occhi si posarono su di lei non ci fu spazio per altro». Sono queste le battute che introducono il lettore al florilegio del ricordo portante che dà il sottotitolo al volume: Michelagnolo e Vittoria, compendio di una storia d’amore consumata dal desiderio per una donna «tanto bella quanto crudele, che conteneva la bellezza di ogni essere umano»; proprio come ogni taglio di marmo già conteneva la bellezza di un’opera scultorea.

Se sul piano storico l’atto unico della Bonsignori è certamente apprezzabile e le sue supposizioni, tra realtà documentale e fantasia di narratrice, oscillano in un delicato equilibrio costante che rende verosimile la trascrizione drammaturgica, teatralmente il testo fatica ad uscire dalle porte del monologo per affacciarsi concretamente sulla strada di un dialogo. La presenza di Urbino si esaurisce, infatti, nel riflesso delle battute del maestro, senza contrastarle, senza opporre il fianco del suo carattere. Il personaggio protagonista si appoggia sull’allievo come nei ricordi e lo permea della sua volontà. In esso ritrova talvolta la sua stessa memoria, quella dei suoi appunti disordinati, così si sente che è sempre lui che parla, da solo, nella stanza della casa romana dove a breve si spegnerà.

Per questo motivo la scelta di affidare il testo per la lettura che si è tenuta nella Sala Matteotti di Montecitorio (il 19 marzo scorso) a un attore che è anche regista e che tiene bene a mente la lezione dei suoi maestri, s’è rivelata giusta ed efficace. Maximilian Nisi, pur non dovendo affrontare un allestimento, s’è concentrato sulla comprensione di quegli appunti mossi da sentimenti irruenti, vulcanici e che, proprio perché non sorretti da una rappresentazione, avrebbero potuto facilmente apparire slegati, governati dall’arte della confusione (proprio come li aveva pensati Michelangelo); invece, Nisi, consapevole che la teatralità non sopporta il caos, se non quello prestabilito, è riuscito a condensare il tema d’amore riordinandolo secondo un altro insegnamento michelangiolesco, cioè liberandolo del marmo in eccesso per restituirlo con nitidezza drammatica, riuscendo a smuovere i sentimenti di una platea che al termine ha applaudito l’autrice e gli esecutori. Con Nisi, accanto alla raffigurazione della Pietà Rondanini, simbolo del «non finito», che potrebbe anche essere l’infinito amore arso dal fuoco della passione, era presente Federico Poggetti, tenera voce di Urbino, anima candida ed eternamente devota al maestro, al quale appare all’improvviso nel regno delle ombre che lo assillano poco prima che la morte lo sorprenda. (fn)
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Fuoco sublime. Michelagnolo e Vittoria di Raffaella Bonsignori. Lettura interpretata da Maximilian Nisi e Federico Poggetti. Il testo, edito da Critica e Cultura (2021), corredato dal saggio storico-artistico, pagg. 118, può essere acquistato su Amazon (€ 4,00)

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