17 marzo 2024

«Roma e dintorni», da Belli a Califano, da Trilussa a Remotti

Roma, Off/Off Theatre
16 marzo 2024

MARCHIONI AL SACRO PREDILIGE IL PROFANO

La poesia romanesca conquista il palcoscenico dell’Off/Off che, grazie alla passione e alla maestria di Vinicio Marchioni, si riempie di versi e strofe vernacolari. La serata s’apre con un veloce ripasso scolastico sulla struttura del sonetto: due quartine a cui seguono due terzine, formate da endecasillabi in rima baciata o alternata. Il professor Marchioni rinfresca la memoria alla platea, perché – dice – nel sonetto ce ritrovi l’anima genuina della Città eterna. Poi ricorda pure che questo tipo di poesia è nato molti secoli prima in Sicilia, ma è stato G. G. Belli, nell’Ottocento, a incastonare perle di vizi e di virtù della Roma papalina con oltre duemila componimenti.

E si comincia proprio dall’inizio, co’ La creazzione der monno quando il gran fornaio impastò li corpi celesti dell’universo come fosse pane, ma subito dopo, cor seconno sonetto, si capisce che de fianco ar popolo romano c’è colui che se crede Dio sceso in terra: quel papa che ttrinca, fa la nanna, / taffia, pijja er caffè, sta a la finestra, / se svaria, se scrapiccia, se scapestra, / e ttiè Rroma pe ccammera-locanna e infine urla alla folla: È tutto mio. Belli è ormai un classico della poesia dialettale; i suoi ritmi e le sue rime argute fanno del sonetto la voce principe de Roma, i suoi versi regalano l’eternità alla ribellione burlesca di un popolo d’estrazione imperiale che può permettersi di sfottere perfino il Santo padre. Non ci si stancherebbe mai a riascoltare le rime di G. G., anche perché Marchioni sa esaltarne il linguaggio colorito e, allo stesso tempo, raffinato.

Affrontando il Novecento che è più presso a noi, si giunge logicamente al Trilussa, il quale, con elegante ironia che scava nelle metafore delle favole, ne La modestia der somaro promuove un asino a ministro dell’istruzione: osservazione che ci fa capire quanto il poeta sia nostro contemporaneo. Ma sia al Belli che al Salustri, Marchioni purtroppo dedica poco spazio. Sembra aver fretta di staccarsi dal sacro per abbracciare il profano, come ammonisce il sottotitolo in cartellone. A lui piace e diverte la poesia di Franco Califano: lo ripete più volte. Tuttavia, sin dai primi versi del cantautore, si sente una certa differenza dei valori semantici, delle espressioni linguistiche, del dosaggio delle ironie, si avverte una stravagante zoppia del verso, si percepisce una predilezione per la rima in otta, come mignotta, o in egna, come… legna! La poetica di Califano, in verità, gira intorno a un unico argomento, quello che più gli s’addice, quello che anche Giuseppe Gioachino non trascurò, ma che seppe ricamare in rima più pungente e sarcastica, oltre che, quasi sempre, snocciolato in endecasillabi. E la stessa visione, un po’ meno degna, la si ritrova nel grezzo vernacolo di Remo Remotti, ultimo cantore del volgo romano, che riuscì a coinvolgere col suo verso libero, non solo il senso dell’udito, ma anche l’olfatto!

Ora, però, occore di’ quarcosa
su Marchioni che tanto onesto pare
quanno sale sur palco a declamare
li verzi de na storia un po’ scabrosa.

E pure se cacaja poco o tanto
sta bene sulla scena a fa’ er cantore
na delizia se fa’ l’arringatore,
maneggia co li foji che è no schianto.

Se dice parolacce (e qui le dice)
le dice perché ar pubblico glié piace
da sentì la battuta tanto audace,

vernacolo vivace in appendice.
È colpa de sti tempi ar cellulare
se godiamo de la rima volgare?

Sinceramente non so se la colpa sia del presente o del passato prossimo: certo è che quando un attore intrattiene una platea con la poesia – come ha detto lo stesso fine dicitore – c’è sempre il timore che si possa cadere nel torpore: e mo’ basta co’ ‘ste rime! La legge del mercato oggi insegna che occorre offrire il prodotto più richiesto per battere cassa, per non rischiare di deludere la gente, e, in questo caso, per divertirsi insieme con gli spettatori. Ma il pubblico non sono io, siamo tanti, e in tanti hanno apprezzato Remotti più del Belli. Mi ci devo rassegnare! Marchioni ci ha coinvolti nell’esecuzione ritmica con un soffuso generale battito di mani, ci ha deliziato con un’eroica cavalcata sulla torta al sapor di scioglilingua, ci ha ricordato Gigi Proietti, Vittorio Gassman, Alberto Sordi. Personalmente, infine, vorrei plaudire ai versi di un poeta a me sconosciuto, il regista Ivano De Matteo, a cui sono stati dedicati «fuori catalogo» alcuni bis. De Matteo è cantore di un amore inconsueto, poco battuto dai rimatori: l’amore per il cinema, un amore tenero, sconsolato, amichevole, malinconico ma felice e necessario. Proprio com’è l’amore. (fn)
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Roma e dintorni - Tra sacro e profano, selezione poetica di Vinicio Marchioni. Con Vinicio Marchioni

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