28 marzo 2024

«Chilometro_42» di Giovanni Bonacci


27 marzo 2024

CIABURRI: MARATONETA COL MICROFONO

Quando frequentavo a tempo pieno i camerini dei primi attori – quelli di qualche anno fa – mi colpiva sempre la cura con cui si ritoccavano il viso con impercettibili sfumature: c’era chi si metteva due punte di matita rossa tra le palpebre, nell’angolo interno, lì dove defluiscono le lacrime, perché – diceva – rende lo sguardo più fermo; c’era chi aggiungeva un filo di nero dalla parte opposta, perché allunga l’occhio; c’era chi si spalmava una polvere scura sulla fronte stempiata per non far riverberare la luce dei proiettori; c’era chi si incipriava il collo per mascherare le rughe. Potrei raccontare tante altre accortezze che questi giganti del palcoscenico osservavano prima del Chi è di scena, non solo per vanità, ma per concentrarsi meglio, per isolarsi, per regalare all’eternità del loro personaggio una particolarità unica. In tutti loro, però, vigeva una regola ferrea: la perfezione della maschera. Soltanto grazie a quella precisione figurativa potevano aggiungere la perfetta voce, con toni alti o bassi, timbri gravi o acuti, fiati corti o lunghi.

Che dire poi dei grandi teatri che frequentavano quegli attori: il Valle, l’Argentina e l’Eliseo a Roma; La Fenice a Venezia; il Carignano e l’Alfieri a Torino, la Pergola a Firenze, tutte platee da mille e più posti. Microfoni? Non si poteva nemmeno sussurrare la parola. Che orrore mortificare l’espressione del viso con un aggeggio attaccato alla guancia o che pendeva dalla fronte: deturpava il trucco, offendeva il personaggio, mortificava l’interprete. E poi quella scatoletta ingombrante da infilarsi sotto gli abiti – confezionati da Tirelli – che ne modificavano le fattezze. No, non si poteva: «Nemmeno se me la mettete nel …», si sentiva gridare quando qualche impavido microfonista tentava l’impresa. «Io ho fatto Medea a Siracusa quando questi aggeggi neanche esistevano», e la porta del camerino sbatteva con violenza. «Sono un attore: ho studiato per farmi sentire, anche fino al foyer», ringhiava l’onore ferito dell’altero professionista.

E i registi – quelli veri – detestavano i microfoni messi a terra in proscenio: facevano rimbombare i rumori dei tacchi sulla pedana; aborrivano i microfoni dall’alto perché, quando qualcuno ci recitava sotto, si diffondeva un effetto Sanremo. Ricordo una scena nella quale una contessa goldoniana doveva gridare all’improvviso come una forsennata e una sera fu stordita dal suo stesso urlo perché sparò la voce proprio in direzione del microfono e le casse amplificarono un suono mostruoso.

Un momento, però: perché tutto questo colorito preambolo? Non certo soltanto per ricordare un passato dietro le quinte. Piuttosto per rimarcare il danno che un microfono sbagliato produce a uno spettacolo. Ieri sera al Cometa Off, una deliziosa sala di appena duecento posti, con una delle più pregevoli acustiche dei teatri off della Capitale, ha ospitato Chilometri_42 con Angela Ciaburri, in versione maratoneta, che è riuscita a deformare la sua performance per un inappropriato microfono: totalmente inutile, anzi dannoso, oserei dire, distruttivo per lo spettacolo e irritante per il pubblico. È un peccato che una professionista non si renda conto che una saletta come quella del teatro di via Luca della Robbia non mette in difficoltà chi recita, ma anzi l’aiuta.

È fondamentale per un attore capire la sonorità della sala, assaggiarla vocalmente prima che entri il pubblico. Valutare i toni da usare, sedendo in prima e in ultima fila, per poter regolare l’intensità; capire se la voce riempie la platea in maniera omogenea o scivola lungo le pareti. Sono tante le accortezze che un professionista deve provare prima di decidere se sia conveniente sfregiarsi il viso con una «rasoiata» sulla guancia sinistra, rovinarsi il trucco che invece dovrebbe essere perfetto per donare precisione al personaggio. La Ciaburri durante la performance grida parecchie volte nel microfono, rompendo il clima della sua recitazione con fastidiose strida che giungono in platea amplificate. Quando finge la corsa della maratona di Boston, il microfono riporta tanto le parole quanto gli affanni che impastano tutte le finali e il microfono certamente non chiarisce le sillabe. Ci sono spesso dei brani che l’attrice snocciola velocemente, come fossero scioglilingua, ed è naturale che a quella velocità non si riesca a timbrare bene: un difetto che il microfono amplifica senza chiedere neanche scusa per il danno causato all’attrice più che al pubblico.

La presenza di musica dal vivo, eseguita da Munendo, non scagiona nessuno. L’apparecchiatura elettronica è fornita di volume e si può regolare. Inoltre è buona regola che il commento musicale resti al servizio dell’attore e non il contrario. Infine, la scatoletta del microfono appiccicata sulla spalla sotto una sottile T-shirt: suvvia, ma si può correre una maratona con una gobba posticcia sulla scapola destra? Mi dispiace molto, signora Ciaburri, con una simile prova non mi sento di recensire né la sua recitazione e nemmeno il testo di Giovanni Bonacci. Me ne astengo, non sarei obbiettivo. (fn)
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Chilometro_42 di Giovanni Bonacci, diretto e interpretato da Angela Ciaburri. Musiche dal vivo, Munendo

Foto: Angela Ciaburri (© Giovanni Canitano e Umberto Poto / Meta studio)

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