LA STORIA DI SEGHESIO: «CHI ERA COSTUI?»
Fabrizio Bancale ci racconta la storia di Mario Seghesio – chi mai sarà codesto Carneade? – e, da quell’ottimo documentarista che è, ne fa un ritratto, come è indicato nel sottotitolo, assolutamente verosimile, aggiungendo stralci di logica immaginazione laddove la biografia langue perché mancano notizie certe. Soprannominato «Gheghe», Mario fu un pioniere del calcio. Giocava tra i legni, quando ancora non si chiamavano pali. Era, infatti, un portiere, ma dalla carriera non proprio impeccabile: 80 presenze nell’Andrea Doria (storica formazione di Genova) dal 1921 al ’26 e 110 reti subite, una media piuttosto altina, per la verità, benché all’epoca il calcio fosse assai diverso da quello odierno. Tifoso del mitico Zamora, numero uno della compagine iberica, ma soprattutto ammiratore devoto di Francesco Calì, che gli appassionati di pallone certamente ricorderanno, con il nomignolo di Franz, nel ruolo di capitano nella prima sfida della nazionale italiana giocata a Milano contro la Francia (15 maggio 1910).
Quell’ultima parata è un racconto storico scritto bene e, nell’insieme, costruito addirittura meglio grazie a una regia molto pulita, essenziale e ben documentata (con musiche e immagini). Si parla di calcio quando il pallone era stretto da una vistosa cucitura, quando le scarpette non avevano i tacchetti, quando il pubblico assisteva alle gare da bordocampo, e quando il campionato si esauriva in una manciata di sfide quasi tutte vinte dal Genoa. Tuttavia resta un racconto che non approda sulle tavole del palcoscenico nella maniera teatrale che ci si aspetta. «Quell’ultima parata», così come la descrive l’autore, è una narrazione in cui il calcio, ancora poco sviluppato, viene fagocitato dagli eventi sociali e storici che passano sulle pagine di un libro sfogliato ininterrottamente durante la rappresentazione, come la Grande Guerra e poi l’avvento del fascismo, mentre la vicenda di Gheghe diventa sempre più piccola: un puntino in una cornice gigantesca. Per fortuna il finale avvincente la riscatta.
Degli anni che vanno dal 1910 al 1926, Bancale si lascia travolgere dal fascino della storia: dal futurismo al Mago di Oz, dalle comiche di Ridolini al dirigibile Zeppelin, dalla cometa di Halley alla Ville Lumière, poi l’annuncio dell’entrata in guerra, i calciatori che diventano soldati, la vittoria sul nemico e l’ascesa di Mussolini al governo, Stalin dittatore, la morte di Lenin, Papa Ratti, il delitto Matteotti… e il povero Gheghe non riesce a trovare il suo spazio in palcoscenico per esaltare a tempo pieno la sua «idea fissa», il calcio. Annaspa tra eventi molto più grandi di lui per venir fuori da una valanga d’informazioni, che, malgrado siano soltanto enunciate (anche con leggerezza), hanno un peso enorme sull’esile carneade e sulla sua breve carriera. Tant’è che Bancale ha sentito la necessità di dedicare la prima parte a un approfondimento della storia di Calì che almeno ha lasciato un segno nel mondo del pallone. Seghesio, invece, è sempre vissuto nell’ombra della sua scarsa notorietà: troppo giovane (nato nel 1903) perfino per andare in guerra.
Forse s’è dato poco peso al fatto, ineluttabile, che un calciatore in teatro può esprimere la sua passione soltanto affidandosi al minimalismo (non può certo mettersi a giocare a pallone!): ossia a ridurre al minimo la realtà che vive. Per cui, tutto quel che lui, da personaggio, avrebbe da dire, diventa un racconto enunciato da un altro. Quindi, noi pubblico, recepiamo l’emozione di Gheghe per interposta persona: questo è un deterrente da non sottovalutare. Diventa anche di difficile paragone la simbiosi con una radiocronaca (anche se i ritmi del narratore la richiamano in più occasioni), perché qui non si descrive un evento sportivo di cui si aspetta il risultato finale, ma l’evolversi di una vita che per un personaggio diventa l’evoluzione dei suoi sentimenti.
Non è un caso, infatti, che il ruolo più completo e riuscito sia quello della mamma di Gheghe, che vive sulla scena le vere emozioni di una madre, senza dover giocare a pallone, ma anzi giocando con le parole. Il teatro, grazie a queste quisquilie, diventa immediatamente un terreno fertile: appena si crea un rapporto con le parole, subito nasce un fiore. E siccome gli attori sono tutti e tre bravi e assai convincenti bisogna elogiarli: Urbano Lione è un narratore cristallino e di inossidabile eleganza, regala la sua voce anche ai brevi interventi di Calì, ma, a sua disposizione, ha poche battute per creare un dialogo e quindi per interpretare un personaggio bloccato dall’apparizione istantanea. Giuseppe Franchina, giustamente, cerca di sopperire con l’entusiasmo dei sogni giovanili a quel che il palcoscenico gli nega; talvolta riesce addirittura a trovare nel pallone (che ha a disposizione) un elemento con cui potersi misurare emotivamente e subito si avverte una scintilla che però si spegne troppo presto.
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Quell’ultima parata (la verosimile storia di Mario Seghesio e del suo sogno), scritto e diretto da Fabrizio Bancale. Con Urbano Lione, Gaia Riposati e Giuseppe Franchina. Musiche, Pericle Odierna. Scene, Massimiliano Persico. Costumi, Antonietta Rendina. Disegno luci, Alessandro Iannattone. Creazioni video, Giovanni Marolla. Allo Spazio Diamante, fino a domani
Foto: Urbano Lione e Gaia Riposati (© ???)