24 febbraio 2025

«Porte chiuse» in faccia alla democrazia

Roma, 24 febbraio 2025

LE ELEZIONI IN GERMANIA E LA POLITICA DEGLI AMATORIALI

La politica non fa per me: né per cultura o tradizione familiare, né per volontà o aspirazione. Il mondo della politica da troppi anni è rappresentato da una pessima accolita di amatoriali: scarsa preparazione e inaffidabile serietà. Visto con occhio da palcoscenico l’operato etico e morale dei politici si potrebbe sintetizzare con una iperbole teatrale: al «chi è di scena» solitamente segue il «si salvi chi può» (boutade che più volte ho ascoltato dietro le quinte per scongiurare la catastrofe). Tuttavia i risultati delle elezioni in Germania fanno parte di un argomento assai delicato, che non riguarda solo i tedeschi, artefici di un drastico effettivo cambiamento epocale. Senza andare a scomodare, per paragone, la solita alternanza governativa che coinvolge ormai da anni il sistema elettorale americano (una volta per uno non fa male a nessuno, o forse fa male ad entrambi!), Deutschland ha parlato über alles, ossia per l’intera Europa. La vecchia cara Europa, vecchia davvero, ormai decrepita e incapace di tagliare il cordone ombelicale con l’ultima roccaforte d’avanguardia sociale, rimasta ferma al Dopoguerra: quella che da noi fu rappresentata da una audace resistenza partigiana che trovò sostegno ed egemonia in alcuni sodalizi concreti e luminari con Francia, Gran Bretagna e la rinascente Germania.

In quel momento storico, cruciale e atroce, quando tre dittature (Italia, Germania, e Spagna – l’est europeo lasciamolo da parte) avevano fiaccato ricchezza ed energia umana, sembrava ovvio e sano gettarsi sul versante opposto, quasi fin troppo facile. Gli iberici, incapaci di reagire e finanche di chiedere aiuto, furono abbandonati a se stessi in attesa che il destino facesse il suo corso, mentre italiani e tedeschi trovarono nei nuovi alleati validi supporti per risorgere. Quello spirito popolare di equilibrio che molti chiamavano democrazia, e altri già individuavano nel sol dell’avvenire, era evidentemente l’unica possibilità per riunire le forze e uscire dal periodo più buio dell’era moderna. Più tardi, la ventata ispiratrice del rinnovamento democratico sostenuto da un manipolo di validi intellettuali (tra cui Jean-Paul Sartre che appoggiò l’ideologia marxista) cominciò a trovare i primi ostacoli; e mentre arrancava, già iniziava a dissolversi e confondersi sotto l’imponente marea che veniva proprio dall’est europeo. Da noi lo scotto della strozza imposta dal Regime non si era raffreddato né con la Repubblica, né con l’avvento della Dc; il popolo italiano voleva di più. Soltanto l’arrivo di Berlinguer a capo del Pci frenò un’ascesa politica all’epoca dissennata. E, onore al merito, fu l’unico comunista italiano intuitivo e saggio, preparato e mai avventato. E fu il primo in tutta Europa a capire che i tempi non erano maturi e forse, addirittura, che si sarebbe dovuto fare un piccolo passo indietro per prepararsi meglio, non alla battaglia (che quella fu avviata da Togliatti con eccessiva spavalderia garibaldina), ma al mantenimento di una politica nuova, innovativa finanche per chi la stava proponendo.

Ed è qui che vien fuori il paragone con gli amatoriali. Troppa fiducia s’è data a una forza dirompente che ha saputo essere veramente trascinante soltanto a livello popolaresco, da commedia dell’arte: tanti canovacci abbozzati ma nessuna stesura di un programma a lungo termine. Nessuna idea lungimirante. Canovacci edulcorati con parole inconsistenti che hanno fatto breccia nel proletariato, ma che poi si son dimostrati inefficienti soprattutto di fronte al numero immenso dei componenti di un gregge che nel frattempo aveva, sì, imparato a leggere, ma non a pensare per la collettività, non a proporre per tutti, non a rinnovare l’unione. E più s’è andato avanti, più affollato e ingigantito è diventato il gregge: quindi, cresciute anche le esigenze e le necessità da sostenere. E quando, per il popolo, i diritti sono diventati più dei doveri, il mondo progressista s’è arenato. Nessuno poteva più soddisfare, né essere soddisfatto. Lo stesso identico stallo provocato l’altra sera da una recita amatoriale di Huis clos (A porte chiuse) di Sartre.

Le battute, una dopo l’altra, si susseguivano sul palco, ma nemmeno una virgola emotiva riusciva a cadere giù in platea. Toni privi di intonazioni, logiche piatte, movimenti tanto precisi quanto dissennati. Recitavano per prendersi in giro da soli, ma loro non se ne accorgevano, poverini. Continuavano la commedia indicando (seriamente) un mobilio che non c’era. Vivevano (seriosamente) una tranquillità che solo a vederla dall’esterno faceva impazzire lo spettatore attento. I concetti intellettuali profondissimi (figli dell’esistenzialismo) che venivano snocciolati con la stessa semplicità di quando, seduti al tavolo di un ristorante, si chiede l’acqua, tutt’al più frizzante! Sono questi gli amatoriali. E sono così, non si possono cambiare: perché, se si tenta di educarli alle regole basilari (del teatro come della politica), non ne azzeccano una. Fanno peggio!

Finché siamo a teatro, una porta chiusa in più o in meno, fa poca differenza, ma in mano a persone simili, in mano a gente impreparata, che per mestiere dovrebbe fare altro, non si può – e non si deve – mettere il destino dei popoli, l’avvenire di un sole che non ha visto mai il mezzogiorno. Altrimenti si arriva alla rivolta del pubblico che – in teatro non si ribella più, ma anzi applaude a qualunque insensatezza, perché tanto col teatro anche il popolo sa che non si vive e non si mangia – in piazza e alle urne decide di tornare sulla sponda da cui era fuggito settant’anni fa. Settant’anni di una politica sempre più balorda e sempre più amatoriale che rischia ora di far chiudere la porta in faccia alla democrazia. (fn)

Foto: Jean-Paul Sartre (© ???)

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