UGO, PIGMALIONE CHE AMA ANTONIONI E BEVE TÈ
A teatro si va anche per ridere e, tra molti recenti tentativi non sempre riusciti, Flavio Insinna e Giulia Fiume, invece, hanno fatto centro. Gente di facili costumi è una commedia leggera ma intelligente e, malgrado i suoi 37 anni, il suo valore coscienzioso e, in un certo senso, educativo resiste ai cambiamenti morali che, anzi, sono molto peggiorati. Scritto da una coppia di grandi amici, due che avevano un’intesa formidabile – e si sente – Nino Marino e l’altro Nino, il grandissimo Nino Manfredi che fu Pasquino con Luigi Magni, che fu brutto sporco e cattivo con Scola, e fu il memorabile Geppetto con Comencini, e tanti altri personaggi ci sarebbero da ricordare, entrati nella storia della cinematografia, il testo è soprattutto un esempio di squisita e civile condotta da parte degli uomini nei confronti delle donne. E Nino Manfredi, che oggi, nel 2025, festeggerebbe 4 anni più di un secolo, lo si sente ancora vivo nelle battute della sua commedia, costruite sulle sue tonalità, i suoi ritmi, le sue cadenze paciose e indolenti, quelle che danno tempo a certi atteggiamenti muti e a quelle simpatiche smorfie di cui era maestro, di colorire il personaggio e di renderlo amabile, anche nella sua negatività.
Difficoltà d’interpretazione per Flavio Insinna è l’attenzione che pone per non cadere nelle trappole tese dalle battute che inducono spesso a rifare il verso alla parlata di Manfredi. Lui, il nostro protagonista, a ogni ostacolo tenta il dribbling, fa la finta, cerca di smorzare, ma è ovvio che chi ha l’orecchio abituato a certe modalità «saturnine», le riconosce immediatamente (e, nel ricordo, le riascolta e le riassapora con una certa nostalgia). Tuttavia, l’attore regala un’ottima prova, tutta sua, lasciando l’originale lontano da ogni paragone: smorza, è vero, e se lo può permettere (e fa bene), perché al suo fianco c’è Giulia Fiume che è un vulcano di energia briosa e frizzante, una trascinatrice pronta a suonar la carica. Bella e spudorata, simpatica e sempre a debita distanza dalle facili tentazioni dell’ovvietà che il ruolo le offre. Insieme, i due, bilanciano perfettamente l’equilibrio della comicità: l’uno è la spalla dell’altra e viceversa. E se in scena il ruolo del mattatore sarebbe stato quello del conduttore televisivo, Insinna ce lo fa dimenticare (solo un accenno ben edulcorato!) mettendo da parte ogni velleità di protagonismo.
Sì – lo ammetto – alla vigilia avevo qualche perplessità a causa di quella pessima abitudine che molti televisivi portano in ribalta: parlare rivolti al pubblico. E non c’è niente di peggio che recitare un ruolo comico cercando l’appoggio della platea e perdendo il treno dell’effetto. È vizio assai diffuso che spegne la risata corrente e brucia la successiva. L’attore pare saperlo bene e se ne astiene. Meglio così: in questo modo le battute non perdono integrità di spirito e di ritmo, e i personaggi non rischiano di annegare nell’incertezza, mantenendo viva la vicenda che è facile e mai pretenziosa: una sorta di Pigmalione de noantri, dove le marchette diventano l’anello di congiunzione dei due: lei è quella «di facili costumi» che vive grazie al mestiere più antico del mondo e lui è un ex professore che si mantiene grazie al lavoro di autore televisivo. Marchette per lei, e non si fa fatica a capirne il motivo, e marchette per lui che invece ha in cantiere la sceneggiatura di un film alla Michelangelo Antonioni e per sopravvivere si deve abbassare alla stesura di programmi «di facili» pretese.
Ugo e Anna si incontrano, poco prima dell’alba, nella mansarda di lei, un abuso edilizio ricavato su una terrazza condominiale, dove lo scenografo Luigi Ferrigno – per camuffare lo sponsor – immagina una vetrata, in stile giardino d’inverno, attraverso la quale si legge la scritta luminosa, alla rovescia, della marca di caffè cara a Manfredi, ma il professore, in scena, ha più piacere a bere tè perché evidentemente lo trova migliore «sennò che piacere è?» La citazione pare sia d’obbligo! Comunque, a parte qualche lieve scivolata (tipo questa), la commedia scorre che è un vero piacere. Ecco, appunto! Si regge tutta sull’abilità dei due attori e su un calendario appeso in cucina che indica il 1988, l’anno in cui debuttò la pièce. Fosse stata attualizzata non starebbe in piedi: non per gli argomenti portanti, come il no alla violenza, l’insegnamento al rispetto e all’educazione, la difesa della nostra lingua, la denuncia della corruzione… tutti temi ancora validissimi, ma per il particolare che nel racconto della sceneggiatura a cui Ugo sta lavorando, si parla di un computer che è quel genere di macchinario dell’epoca e non può essere collegato ad internet, altrimenti si aprirebbe tutta un’altra storia molto più perversa e realistica. Invece è divertente, proprio perché innocente, l’ambiguità rudimentale del vecchio elaboratore elettronico. Nel 1988 anche i nomi di Alvaro Vitali e der Monnezza avevano un sapore da commedia all’italiana audace ma casta, proprio come certe allusioni tra Anna e Ugo.
Foto: Giulia Fiume e Flavio Insinna (© Pino Le Pera)