RECITARE DI SPALLE, UN’ARTE RARA E SOPRAFFINA
«Finché si potrà ascoltare la musica di Beethoven e di Wagner la gente sarà libera». E se a dirlo è Wilhelm Furtwängler, il messaggio è chiaro: l’avvertimento suona come un monito per la seconda serata del raduno canoro della riviera di ponente. Verrebbe da correre immediatamente per le strade e gridare a squarciagola: italiani spegnete la televisione e ascoltate l’Inno alla gioia o il preludio del Lohengrin, vi sentirete più liberi. D’altronde anche il direttore d’orchestra amato e stimato da Adolf Hitler fu salvato dalla musica. Non furono mai trovate prove che testimoniassero i suoi contatti con il Terzo Reich: motivo per cui il tribunale di denazificazione non riuscì a spedirlo sul banco degli imputati a Norimberga. Da questi fatti storici, il commediografo Ronald Harwood, di origini ebraiche, scrisse Taking sides (in Italia conosciuta come La torre d’avorio) che nel 2001 divenne una sceneggiatura per il film A torto o a ragione, di István Szabó. Titolo preferito dal regista Giovanni Anfuso in un intenso e convincente allestimento, in scena al teatro India fino a domenica. Troppo poco, se mi posso permettere!
L’azione si svolge tra la fine del 1945 e l’autunno dell’anno successivo. Il maggiore Steve Arnold sta raccogliendo testimonianze per dimostrare la colpevolezza di Furtwängler, da molti considerato il più grande maestro dell’epoca, paragonabile soltanto a Toscanini, sospettato di aver collaborato con la Gestapo. Durante le consultazioni, che avvengono in un ex deposito dove le SS, fino a poco prima, accatastavano oggetti d’arte (quadri, statue e altro) rubati all’estero, il fascino emanato dal prestigio artistico del direttore diventa per Steve il principale avversario da sconfiggere: lui, solo contro tutti, anche contro i suoi stessi subalterni, si trova a dover scardinare non solo il muro del silenzio dell’artista, ma anche a respingere la pressione dell’opinione pubblica contraria a qualunque inquietante supposizione. La vicenda è inventata, ma costruita sui reali sospetti che la corte americana nutriva su Furtwängler, mai iscritto al partito nazista, ma quasi sempre presente ai concerti organizzati dal Reich a croce uncinata.
Sin dall’inizio dello spettacolo colpiscono alcuni felici particolari assai inconsueti. La camminata tipicamente americana e soldatesca del maggiore, che regala all’ottima interpretazione di Simone Toni un’aria antipatica e ottusa, quasi spregevole (come se il cattivo fosse lui). Una gestualità pesante, arrogante, grazie alla quale Toni rivela la faccia spietata degli alleati che hanno liberato la Germania. Un atteggiamento che soltanto al finale trova giustificazione e anche gratitudine. Sotto la lente d’osservazione, poi, c’è la costruzione della scena della prima deposizione di Helmut Rode, secondo violino dell’orchestra diretta da Furtwängler, ruolo affidato a Giampiero Cicciò, qui ispirato al meglio. Il regista, con cura, prepara per l’ingresso del Rode una sedia con la spalliera rivolta al boccascena, leggermente di sbieco, posta tra la scrivania del maggiore, frontale al pubblico e al centro della scena, e il tavolino del luogotenente Wills, nell’angolo sinistro della ribalta, cosicché, quando Rode entra è costretto a dare le spalle al pubblico, tuttavia, voltandosi al graduato o alla segretaria, seduta a destra, distribuisce le battute quasi a 360°, recitando perlopiù con le spalle e sfruttando l’impaccio della torsione, un movimento necessario che aiuta l’attore a rendere più chiaro il disagio del personaggio, costretto a scivolare sulla sedia con l’andamento di una serpe.
Ancora meglio e ancora più evidente è l’ingresso di Furtwängler, affidato alla sapienza altera e nevrotica, silenziosa e accigliata, di Stefano Santospago – eccellente – il quale preferisce sedersi guardando il fondale, offrendo nuca e dorso al pubblico quasi in maniera offensiva. Quanti attori (ma soprattutto quanti registi) dovrebbero imparare da questa immagine: il protagonista entra e si pone di spalle, creando un distacco dal mondo che lo scruta e lo osserva, e che lo vorrebbe giudicare. Teatralmente l’opposizione accende una folle curiosità tra gli spettatori che quasi sono invitati a chiedersi: ma noi, a questo signore, che cosa gli abbiamo fatto che non ci vuole guardare in faccia? È la coscienza che recita e Anfuso ha colto nel segno, dichiarando subito, con il silenzio, l’ammissione dei peccati che Furtwängler terrà racchiusi in sé. Sono dettagli di regia che spesso non vengono nemmeno presi in considerazione, ma che invece danno forza drammatica all’azione e sovranità al ruolo.
Foto: Simone Toni e Stefano Santospago (© Antonio Parrinello)