UCCISA PERCHÉ INNAMORATA DELLA VITA
La terribile storia di Saman Abbas, già raccontata dai cronisti che hanno seguito quotidianamente la vicenda, dalla sua sparizione (1° maggio 2021) fino al ritrovamento del cadavere (18 novembre 2022), è diventata nel 2023 materia per un primo libro Saman, vita e morte di una ragazza italiana, di Jacopo Della Porta ed Elisa Pederzoli (ed. Aliberti), e poi, lo scorso anno, argomento per una seconda pubblicazione di Gianmarco Menga, «Il delitto di Saman Abbas. Il coraggio di essere libere» (Newton Compton ed.). Ora il dramma arriva in palcoscenico per la trascrizione teatrale di Gianni Cardillo e Francesco Apolloni che si sono ispirati all’opera omonima di Della Porta e Pederzoli. È sempre bene che se ne parli: far conoscere i particolari di una vicenda tanto sconcertante aiuta a capire quanto grave sia il delitto civile commesso nei confronti di una ragazza di appena 18 anni, uccisa dai genitori (e da altri familiari) perché da essi giudicata «colpevole» di voler vivere la vita. Il primo pensiero va a Saman, alla sua memoria, al suo desiderio di libertà.
A noi però tocca giudicare lo spettacolo e lasciare da parte la cronaca. Il teatro è stupefacente: non si fa in tempo a scrivere che soltanto alla fine di una recensione, quando non si ha nient’altro da dire, si passa a esaminare la capacità degli attori, che immediatamente si viene contraddetti a causa delle evidenti esigenze inverse. D’altronde, in scena c’è soltanto lei, la giovanissima Sara Ciocca che interpreta la parte di Saman, donna viva, anima innocente. Ha quasi la sua stessa età quando la ragazza pakistana fu uccisa: allora lei ne aveva 19, oggi la sua interprete ne ha appena 17, ma è già un fenomeno dell’empireo cinematografico e televisivo. Studia danza, e si vede; studia canto, e se la cava; studia il pianoforte e le auguriamo i migliori successi; frequenta ancora il liceo linguistico, com’è giusto che sia, e siamo sicuri che raggiungerà prestissimo la maturità con ottimi voti; ma in palcoscenico la voce non è quella che si usa davanti a una telecamera o in una sala di doppiaggio. Eppure la sua presenza scenica è sicura: tenera e caparbia, audace ed esile, bambina e altera.
Sul palco si muove con determinazione e professionalità, con eleganza e con una giusta dose di celata strafottenza: la danza (forse ci sono un paio di interventi coreutici di troppo, si potrebbe annotare alla regia) le dà sicurezza; nel pas de chat trova l’energia giusta per aggredire la sala gremita, ma poi la voce le scivola sulle labbra non riuscendo a balzare in platea. Sussurrare senza timbrare, pronunciare le parole senza battere sulla sillaba finale sono quei difetti che purtroppo affievoliscono la tensione del racconto, perché inevitabilmente si perdono particolari. Tuttavia, i diciassette anni dell’attrice danzante rappresentano la certezza del tempo che Sara ha per affinare la tecnica di recitazione. Diciassette anni sono anche la cifra di quella meravigliosa esuberanza che non fa troppo riflettere sulla differenza di respirazione tra un fisico che balla e un diaframma che s’accinge a sostenere le parole. Sono due esercizi molto diversi e non è facile controllarli contemporaneamente: quando si termina un ballo il cuore batte all’impazzata e la recitazione subitanea non può trovare gli adeguati sostegni. Ma Sara – lo abbiamo notato – ci ha provato con le migliori intenzioni, rifiutando, per esempio, l’aiuto del microfono. Da una parte è encomiabile, dall’altra assai rischiosa. Per carità, sempre meglio senza amplificazione, ché altrimenti si sentirebbero affanni e pulsazioni.
Foto: Sara Ciocca (© ???)