SI STA CON LA PULZELLA SUL SET DEL CINEMÀ
Matteo Fasanella è l’uomo delle imprese impossibili, delle sfide teatrali più impensabili. Mesi fa rivestì il ruolo di Cyrano in uno spazio che se gli consentiva di amare e poetare in un’atmosfera assai intima, non gli permetteva di tirar di scherma alla maniera d’un Musumeci Greco, cosicché i cadetti di Guascogna restavano bloccati e anche un po’ impacciati. Ora, in un luogo ancor più sacrificato, porta un dramma tra i più corposi della letteratura: quello di Giovanna d’Arco. E non in forma di monologo o di confronto strettamente processuale, ma, vestendo abiti ispirati all’epoca con tanto di spade, collane d’oro e corona, ripercorre alcune tappe della storia (poi diremo da quali fonti) con la sala del trono in evidenza, la stanza reale al livello superiore, una scalinata purpurea che discende in una vallea che di volta in volta conduce al villaggio, ai campi di battaglia, alla chiesa o alle prigioni. Impresa ancora più impervia, eppure, riuscita nella sua aurea di follia (ché di follia si tratta, ma ben venga!) con un effetto da «drammone».
Affidato alla recitazione di un gruppo di attori di livello, Fasanella ricostruisce la «cronaca drammatizzata» sulle basi della Santa Giovanna di G. B. Shaw, riuscendo così ad avere un corpo letterario solido e persuasivo. Inoltre, riducendo drasticamente il numero dei personaggi, trova nuove ispirazioni nel film di Luc Besson del 1999, scritto insieme allo sceneggiatore Andrew Birkin. In tal modo rimpasta e adatta i dialoghi del commediografo irlandese, sull’agilità dell’azione filmica, con qualche inserimento, anche personale: la regina consorte, Maria d’Angiò, che non appare nel testo di Shaw e ricostruisce il personaggio dell’Inquisitore – che egli stesso interpreta con sapienza e tenebrosa sicumera – regalandogli il carattere un po’ diabolico e il peso del ruolo che nella pellicola fu di Dustin Hoffman.
Nel raccontare l’operazione di Fasanella si ha l’impressione di renderla più possente di quel che è in realtà. In effetti, l’unico vistoso stravolgimento l’ha subito la sala del TeatroSophia che è stata usata preferendo il senso longitudinale a quello classico. Un inizio assai cinematografico con un affascinante gioco di luci e un sottofondo sonoro accompagna il pubblico in un clima che annuncia una tensione drammatica. La pulzella corre spaventata da una quinta all’altra. Ha visto qualcosa. Dio sembra seguirla ovunque con la sua voce possente. I fasci rossi si alternano a quelli blu. E Giovanna viene condotta davanti al delfino, al quale chiede un esercito per sconfiggere gli inglesi a Orléans. La storia poi la conosciamo: è di dominio pubblico.
Quel che colpisce in Giovanna Dark è il coraggio di Matteo Fasanella che riesce a condurre con fermezza una regia teatrale come se stesse girando un film in costume. Le luci disegnano le inquadrature. I suoni si moltiplicano seguendo e dirigendo il pathos, quello degli attori prima e quello degli spettatori dopo. Gli interpreti, incuranti dell’esiguo campo d’azione, riescono a muoversi con agilità e scioltezza come in un angolo di un set di Cinecittà. L’impressione, dovuta probabilmente alla lunghezza dello spazio scenico, è stata proprio quella di riuscire a seguire la trama osservando la vicenda saltando da un set all’altro, come fossero sequenze di un lungometraggio. Alcuni bui improvvisi hanno simulato l’effetto tipico del montaggio: da un luogo si passa altrove e poi con una dissolvenza si torna nella stanza del re.
Soffermandomi, a un certo punto, a guardare a sinistra, quando la scena era a destra, ho notato Carlo di Valois che era rimasto seduto sul trono dalla precedente inquadratura, mentre godeva del privilegio d’esser diventato spettatore anche lui, come me, di una scena di cui non faceva parte, ma pronto a rientrare al successivo ciak. Il taglio cinematografico, per questa encomiabile impresa, funziona ed è l’arma vincente. Mi auguro che sia un’autentica ricercatezza di regia e non un’idea di rincalzo dovuto alle difficoltà imposte dal luogo. Lo dico perché la soluzione potrebbe essere anche più evidente e sfacciata per dare una più briosa ventata di freschezza.
Lorenzo Martinelli è il delfino che, grazie all’impresa di Giovanna, diventerà Carlo VII. La sua recitazione volge costantemente all’effimero, come il vizio che lo plasma. Già presagisce che tutto andrà per il meglio. Non c’è mai aria di tempesta nella sua visione del regno. Tutto gli è dovuto e nulla deve chiedere, se non alla moglie. Diana Forlani è una regina assai composta, sa quel che dice e sa soprattutto che il re ascolterà i suoi consigli. Si muove regalmente, sguardo altero e dolce, come s’addice a una donna del suo rango, e perde le staffe una sola volta, l’unica in cui sembra interpretare un ruolo che non pratica quotidianamente. In scena c’è anche Guido Lomoro, solitamente padrone di casa al Sophia, ma qui calato nelle vesti del Vescovo che incoronerà il nuovo sovrano. La carica episcopale lo trasforma in un personaggio che fa dell’ambiguità la sua forza e la sua magnanimità.
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Giovanna Dark, da Andrew Birkin, Luc Besson, George Bernard Shaw. Adattamento e regia, Matteo Fasanella. Allestimento scenico, Maurizio Marchini. Costumi, DarkSide Ets. Con Virna Zorzan (Giovanna), Alessio Giusto (Gilles de Rais), Pietro Bovi (Jean de Dunois), Lorenzo Martinelli (Carlo VII di Valois), Diana Forlani (Maria d’Angiò), Guido Lomoro (Vescovo Cauchon), Matteo Fasanella (L’inquisitore). Al Teatro Sophia, fino al 2 marzo
Foto: Virna Zorzan e Pietro Bovi (© Agnese Carinci)