«UN APPLAUSO ALMENO ALLA CARRIERA»
Sedendomi al posto indicato sul biglietto, mi son trovato accanto a una giovanissima attrice del Centro sperimentale. Nei suoi occhi ho notato tanta incantevole curiosità durante l’attesa che ha preceduto l’inizio dello spettacolo. Nel frattempo, scambiando qualche parola, mi ha confessato che era lì per ammirare Carlo Cecchi, «un attore di cui ho sempre sentito parlare, ma che non ho mai visto recitare». È bello vedere un così candido entusiasmo giovanile elettrizzarsi soltanto per un nome. «Ho anche letto il testo in questi giorni». Beata innocenza! Mi sono rivisto nell’euforia dell’adolescenza quando volevo arrivare preparato all’apertura di sipario che però mi sorprendeva sempre: ogni volta, dietro la tela rossa, si nascondeva un effetto mai immaginato in precedenza. Oggi che i sipari sono diventati una rarità anche questa magia è pressoché scomparsa. Peccato!
Non ho mai amato la recitazione di Cecchi, così distante dai canoni fascinosi dei grandi interpreti degli anni Settanta e Ottanta con cui sono cresciuto, e quando, al termine dello spettacolo di ieri sera, ho notato che l’entusiasmo negli occhi della giovane vicina s’era asciugato, lasciando spazio a uno sguardo più attonito, ho capito che un’altra delusione era stata inferta. «Non credevo fosse un’operazione in forma di lettura», ha esclamato la ragazza con timido stupore che nascondeva ben altra insoddisfazione. Le ho chiesto se avesse compreso tutto, visto che la drammaturgia era assente e che la dizione di Cecchi era parsa piuttosto confusa. Mi ha sorriso benevolmente, ricordandomi di aver da poco letto il testo. Ah, già, lei s’era avvantaggiata! E certamente non per mancanza di fiducia nei confronti dell’attore che ancora non conosceva. Invece, nonostante i microfoni, il cronista era costretto ad annotare che la lettura della Leggenda del santo bevitore si trascinava con voce impastata tra una storpiatura e una malinconia, tra varie imprecisioni e qualche licenza troppo rilassata.
Il recensore, per rispetto, quindi, ora fa un passo indietro e non approfondisce il giudizio sull’interprete. Anche sulla regia si può dir poco, perché, in verità, poco s’è vista. E ancor meno si può dire degli altri attori in scena. Giovanni Lucini, il barman, è stato un attento ascoltatore più che un attivo dialogante. Non si è mai opposto, ma ha sempre accompagnato la narrazione con superflui consensi: ciò significa che il racconto non è mai stato scosso da un antagonista e lo svolgimento in un attimo è diventata materia altamente soporifera. Lucini ha tentato di smuovere l’inamovibile prendendo varie posizioni, ma, avendo pochissime battute, obbiettivamente, non ne ha avuto la possibilità.
Foto: Giovanni Lucini e Carlo Cecchi (© ???)