03 marzo 2025

«Fino alle stelle!» di Agnese Fallongo

Roma, Teatro Roma
2 marzo 2025

PAESE CHE VAI, CANZONE CHE TROVI!

Ogni spettacolo fa storia a sé e nessuna rappresentazione deve dipendere da un’altra o ad altra far riferimento. Cosicché anche Fino alle stelle! vive autonomamente, nonostante faccia parte di una trilogia, e, di questa, sia lo spettacolo di congiunzione: ossia, quello che è legato ad ambo le parti e che dovrebbe mantenere solida l’unione di una terna sulla povertà del secolo scorso in chiave popolare; invece, dei tre, malgrado sia quello di mezzo, sembra essere il più indipendente, il più slegato, il più «sbarazzino». Se in Letizia va alla guerra il motore trainante era la scrittura drammaturgica, mentre ne I Mezzalira, a crear fascino, era l’abilità degli interpreti, impegnati i diversi ruoli con travestimenti repentini, qui sono i ritmi, quelli incessanti tipici del vecchio avanspettacolo, a tirare la carretta e a farla correre oltreoceano, anzi scorrere piacevolmente sulla nave che li trasporta.

Adesso che la visione della trilogia composta da Agnese Fallongo è completa, occorre dedicare un paragrafo che introduca la recensione di Fino alle stelle!, perché ora prende decisamente consistenza l’importanza del linguaggio nella nostra penisola che ha ispirato l’autrice guidandola in un approfondimento antropologico che lega il soggetto all’ambiente e quindi ai caratteri e alle abitudini territoriali. Mentre scrivo mi viene il desiderio di riprendere dalla biblioteca un prezioso libro del 1818 che si intitola «Raccolta di cinquanta costumi li più interessanti delle Città, Terre, e Paesi, in Provincie diverse del Regno di Napoli disegnati ed incisi all’acquaforte da Bartolomeo Pinelli romano». Le incisioni evidenziano quanto ogni paese del nostro sud conservasse, fino a due secoli fa, ben salde e con orgoglio la tradizione dei propri costumi, quanto i ricami della veste della donna della provincia di Salerno fossero differenti da quelli della Terra di lavoro; quanto l’abito salentino fosse simile, ma non uguale a quello lucano e completamente diverso da quello abruzzese. D’altronde il detto lo avvertiva chiaramente: paese che vai usanze che trovi; ma non c’era ancora la televisione che ha reso il mondo tutto uguale distribuendo jeans e magliette all’intero pianeta.

Il libro ha il vantaggio di raccogliere immagini che fermano il tempo come fossero fotografie. Purtroppo lo stesso non si può fare con le voci, con i dialetti, con le piccole differenze di dizione che si potevano captare viaggiando da un villaggio all’altro. E la Fallongo è andata a ricercare proprio queste differenze, naturalmente non così capillari, per poi distribuire nella sua trilogia tipi della stessa epoca e della stessa classe sociale ma che differissero per linguaggio e umori seguendo un itinerario geografico. Un’accurata trascrizione dei dialetti che ha come punto di partenza sempre la Sicilia: «la nostra terra», vien detto. Tuttavia i personaggi della Fallongo sono sempre intenzionati a lasciare la loro culla per raggiungere il continente e salire verso nord. Lo hanno fatto i Mezzalira per cercar fortuna, lo ha fatto Letizia, sposa fedele, nella speranza di ritrovare il marito, lo hanno fatto Maria e Antonio per raggiungere le stelle del firmamento del palcoscenico.

Sono proprio Maria e Antonio, i protagonisti di questa Scalata in musica lungo lo stivale, che ridanno vita folcloristica alle voci delle tante nostre terre. Si conoscono per caso nella piazza di Palermo, e la musica e il canto li lega artisticamente in un duo che subito decide di fuggire verso nord risalendo la penisola: Basilicata, Puglia, Campania, Abruzzo, fino a Roma. Poi in Toscana pronti per passar la linea gotica e andare all’estero, nella pianura padana, per risalire anche un po’ le Alpi, accompagnati dalle loro voci e dalla chitarra. Dunque, paese che vai, canzoni che trovi: Agnese Fallongo e Tiziano Caputo propongono una canzone tipica per ogni luogo visitato. Un revival di brani della tradizione popolare, talvolta rustica, ma sempre arte rigorosamente povera e genuina. Un tour che però non è fine a se stesso, ma è retto da una logica e una trama che difficilmente sfocerà in una storia d’amore, forse perché nasce come intrigo amoroso ma silenzioso. Sempre siciliani sono! E anche se si adeguano al napoletano, al marchigiano, al fiorentino e al milanese, mantengono fede ai principi della Trinacria: la parola data è una sola.

Certamente c’è la passione per la musica, per il divertimento (anche qui la scrittura della Fallongo vive di divertimento), per l’avventura e per la scoperta; emozioni che danno ritmo incessante alla cavalcata: una storia d’amore tra i due rallenterebbe i tempi e l’effetto scoppiettante dell’avanspettacolo sparirebbe in un attimo. Non c’è tempo per l’amore in quel genere di teatro musicale e ridanciano che fu dei più grandi artisti: da Totò alla Magnani, per nominare i più famosi, giustamente anche citati in qualche passaggio da Agnese e Tiziano (fenomenale nell’esecuzione degli stornelli). E, in effetti, l’idea di un grande avanspettacolo in giro per l’Italia, è la trovata più svelta e frizzante per riuscire tagliare il traguardo di tutte le tappe previste, Sardegna compresa. Al finale la leggenda di Colapesce, con la quale Antonio affascinò Maria alla Vucciria, trova una sua traduzione estemporanea per gli emigrati che hanno raggiunto Nuova York, dove i due si esibiscono in costumi rinnovati e scintillanti.

Al di là del successo che i simpatici personaggi raggiungono oltreoceano, a me pare che quest’ultimo spettacolo visto, porti con sé un suggerimento. Agnese Fallongo è una validissima scrittrice di teatro, oltre ad essere un’ottima attrice e cantante sopraffina. Tiziano Capuano è un performer eccellente: recita, canta e suona con la scioltezza e l’abilità di un grande professionista; i suoi travestimenti in scena sono straordinari. Alle loro spalle, il lavoro silenzioso e preciso di Adriano Evangelisti e Raffaele Latagliata (che spesso si alternano nella regia, ma ogni spettacolo è confezionato a quattro mani) è un’opera certosina e preziosa, poco ridondante e mai banale. Allora mi domando: perché un’ottima squadra come questa, pur vantando una produzione seria come quella degli Incamminati, pur avendo ormai una considerevole esperienza, non riesce ad approdare nei teatri di maggior flusso? Perché la Sala Umberto e il Quirino li snobbano? Perché l’India non li accoglie e non li sostiene? Perché la produzione, per i loro spettacoli, si rivolge sempre ai teatri minori, che radunano un pubblico di quartiere e che aprono i battenti nei fine settimana. Fallongo, Caputo, Evangelisti e Latagliata meritano di più, meritano la città, meritano il tempo pieno: occorre dar loro spazi più giusti e palcoscenici più nobili. (fn)
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Fino alle stelle! (Scalata in musica lungo lo stivale), di Agnese Fallongo. Coordinamento creativo, Adriano Evangelisti. Musiche, Tiziano Caputo. Con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo. Regia di Raffaele Latagliata. Produzione: Teatro de Gli Incamminati e Ars Creazione e Spettacolo. Al teatro Roma, fino al 9 marzo (spettacoli solo nel fine settimana) 

Foto: Tiziano Caputo e Agnese Fallongo (© Tommaso Le Pera)

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