28 febbraio 2025

«Il vedovo», dal film di Dino Risi

Roma, Teatro Parioli
27 febbraio 2025

HO VISTO COSE CHE VOI UMANI…

No, ma, dico… se ci facevate rivedere il film, non era meglio? Non per infierire, ma stiamo parlando di una pellicola con Alberto Sordi e Franca Valeri, con Enzo Petito e Nando Bruno, Gigi Reder giovanissimo e Angela Luce bonissima, insomma tutta roba d’epoca, sì, ma roba buona, di grande qualità, da cui ancora oggi si può imparare qualcosa. Che ci voleva? Gli attori della compagnia si sedevano giù in platea con noi e si guardava tutti insieme Il vedovo di Dino Risi, regista coi fiocchi. Non c’era nulla di male! Nessuno si sarebbe arrabbiato. Ammetto che un film ambientato negli anni Cinquanta è un po’ vecchiotto, è vero – quelli che capiscono dicono che è datato – ma un film, se bello, conserva sempre una sua freschezza. Nell’oscurità della sala, il grande schermo compie il miracolo e ti riporta a quegli anni, perché tutti i particolari sono di quel periodo e ogni cosa si sposa perfettamente con il resto: dagli oggetti agli ambienti, dalle mode alle inflessioni.

27 febbraio 2025

«La grande menzogna» di Claudio Fava

Roma, Teatro Belli
26 febbraio 2025

LA VERITÀ SECONDO BORSELLINO

La grande denuncia di Claudio Fava arriva dal palcoscenico per voce di David Coco, e affonda le radici in via D’Amelio, a Palermo, dove il 19 luglio 1992 l’esplosione di una Fiat 126, carica di tritolo, uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Da quello scoppio, da quella polvere, da quel puzzo di cadaveri bruciati dalla deflagrazione e sparsi lungo la strada per centinaia di metri, Borsellino riprende vita e, in maniche di camicia e sigaretta alle labbra, comincia la sua deposizione davanti a un invisibile magistrato, suo collega, che lo ascolta in silenzio per quasi un’ora, durante la quale rivela la grande menzogna alla quale, appena morto, ha dovuto assistere inerme. Fava ricostruisce la sua tesi per la scena partendo dai sospetti lanciati dai figli di Borsellino, dai tanti omissis rimasti sospesi durante il processo, dalla famosa agenda rossa di cui si sono perse le tracce, dalla scrivania improvvisamente ripulita in pretura poche ore dopo la strage. Insomma, i particolari giudiziali rimasti pendenti – raccontati anche in un libro – e le tante stranezze che continuano a non trovare una soluzione diventano il tracciato da seguire in un contesto che assomiglia alla revisione del processo da parte della vittima.

26 febbraio 2025

«La leggenda del santo bevitore» di Joseph Roth

Roma, Teatro India
25 febbraio 2025

«UN APPLAUSO ALMENO ALLA CARRIERA»

Sedendomi al posto indicato sul biglietto, mi son trovato accanto a una giovanissima attrice del Centro sperimentale. Nei suoi occhi ho notato tanta incantevole curiosità durante l’attesa che ha preceduto l’inizio dello spettacolo. Nel frattempo, scambiando qualche parola, mi ha confessato che era lì per ammirare Carlo Cecchi, «un attore di cui ho sempre sentito parlare, ma che non ho mai visto recitare». È bello vedere un così candido entusiasmo giovanile elettrizzarsi soltanto per un nome. «Ho anche letto il testo in questi giorni». Beata innocenza! Mi sono rivisto nell’euforia dell’adolescenza quando volevo arrivare preparato all’apertura di sipario che però mi sorprendeva sempre: ogni volta, dietro la tela rossa, si nascondeva un effetto mai immaginato in precedenza. Oggi che i sipari sono diventati una rarità anche questa magia è pressoché scomparsa. Peccato!

24 febbraio 2025

«Porte chiuse» in faccia alla democrazia

Roma, 24 febbraio 2025

LE ELEZIONI IN GERMANIA E LA POLITICA DEGLI AMATORIALI

La politica non fa per me: né per cultura o tradizione familiare, né per volontà o aspirazione. Il mondo della politica da troppi anni è rappresentato da una pessima accolita di amatoriali: scarsa preparazione e inaffidabile serietà. Visto con occhio da palcoscenico l’operato etico e morale dei politici si potrebbe sintetizzare con una iperbole teatrale: al «chi è di scena» solitamente segue il «si salvi chi può» (boutade che più volte ho ascoltato dietro le quinte per scongiurare la catastrofe). Tuttavia i risultati delle elezioni in Germania fanno parte di un argomento assai delicato, che non riguarda solo i tedeschi, artefici di un drastico effettivo cambiamento epocale. Senza andare a scomodare, per paragone, la solita alternanza governativa che coinvolge ormai da anni il sistema elettorale americano (una volta per uno non fa male a nessuno, o forse fa male ad entrambi!), Deutschland ha parlato über alles, ossia per l’intera Europa. La vecchia cara Europa, vecchia davvero, ormai decrepita e incapace di tagliare il cordone ombelicale con l’ultima roccaforte d’avanguardia sociale, rimasta ferma al Dopoguerra: quella che da noi fu rappresentata da una audace resistenza partigiana che trovò sostegno ed egemonia in alcuni sodalizi concreti e luminari con Francia, Gran Bretagna e la rinascente Germania.

23 febbraio 2025

«Gente di facili costumi» di Nino Marino e Nino Manfredi

Roma, Teatro Quirino
22 febbraio 2025

UGO, PIGMALIONE CHE AMA ANTONIONI E BEVE TÈ

A teatro si va anche per ridere e, tra molti recenti tentativi non sempre riusciti, Flavio Insinna e Giulia Fiume, invece, hanno fatto centro. Gente di facili costumi è una commedia leggera ma intelligente e, malgrado i suoi 37 anni, il suo valore coscienzioso e, in un certo senso, educativo resiste ai cambiamenti morali che, anzi, sono molto peggiorati. Scritto da una coppia di grandi amici, due che avevano un’intesa formidabile – e si sente – Nino Marino e l’altro Nino, il grandissimo Nino Manfredi che fu Pasquino con Luigi Magni, che fu brutto sporco e cattivo con Scola, e fu il memorabile Geppetto con Comencini, e tanti altri personaggi ci sarebbero da ricordare, entrati nella storia della cinematografia, il testo è soprattutto un esempio di squisita e civile condotta da parte degli uomini nei confronti delle donne. E Nino Manfredi, che oggi, nel 2025, festeggerebbe 4 anni più di un secolo, lo si sente ancora vivo nelle battute della sua commedia, costruite sulle sue tonalità, i suoi ritmi, le sue cadenze paciose e indolenti, quelle che danno tempo a certi atteggiamenti muti e a quelle simpatiche smorfie di cui era maestro, di colorire il personaggio e di renderlo amabile, anche nella sua negatività.

21 febbraio 2025

«Marshmallows» di Angela Ciaburri

Roma, Spazio Diamante
20 febbraio 2025

I TOSSICI RAPPORTI DI QUATTRO MILLENNIALS

«Qui non c’è amore», dice Desy; e un attimo dopo anche Adele chiede «Dov’è l’amore?» Marshmallows, titolo dell’opera prima di Angela Ciaburri, è un’antifrasi che indica il contrario della dolcezza di un rapporto, l’opposto della morbidezza dell’amicizia. La commedia, che prende il nome dalle caramelle gommose di zucchero, indaga sui rapporti «tra i Millennials» (scrive l’autrice), ossia tra quei ragazzi che hanno raggiunto la maggiore età a cavallo del III millennio (che è la sua generazione). In effetti, però, la Ciaburri costruisce una ragnatela ben più vasta e solida: i quattro personaggi, protagonisti di una turbolenta convivenza, infatti, rappresentano un po’ tutte le generazioni postsessantottine. D’altronde il bisogno d’affetto è necessità atavica, e la ricerca d’amore è da sempre nascita e scopo dell’esistenza di ciascuno. Soltanto le abitudini sono cambiate dopo il boom economico degli anni Cinquanta. E, in particolare, i giovani hanno cominciato a prendere confidenza con una vita indipendente soltanto dopo i movimenti sociali del 1968. Prima si lasciava la casa avita soltanto dopo il matrimonio. Per cui una convivenza, organizzata tra amici, in una stessa abitazione, è databile in qualunque momento degli ultimi cinquant’anni. Non sono, dunque, i particolari legati ai Millennials che fanno di «Marshmallows» un quadro generazionale amaro e talvolta spietato: sono sempre gli affetti che allacciano e strappano amori e amicizie di ogni tempo ed età.

20 febbraio 2025

«Giovanna Dark» da A. Birkin, L. Besson, G. B. Shaw

Roma, Teatro Sophia
19 febbraio 2025

SI STA CON LA PULZELLA SUL SET DEL CINEMÀ

Matteo Fasanella è l’uomo delle imprese impossibili, delle sfide teatrali più impensabili. Mesi fa rivestì il ruolo di Cyrano in uno spazio che se gli consentiva di amare e poetare in un’atmosfera assai intima, non gli permetteva di tirar di scherma alla maniera d’un Musumeci Greco, cosicché i cadetti di Guascogna restavano bloccati e anche un po’ impacciati. Ora, in un luogo ancor più sacrificato, porta un dramma tra i più corposi della letteratura: quello di Giovanna d’Arco. E non in forma di monologo o di confronto strettamente processuale, ma, vestendo abiti ispirati all’epoca con tanto di spade, collane d’oro e corona, ripercorre alcune tappe della storia (poi diremo da quali fonti) con la sala del trono in evidenza, la stanza reale al livello superiore, una scalinata purpurea che discende in una vallea che di volta in volta conduce al villaggio, ai campi di battaglia, alla chiesa o alle prigioni. Impresa ancora più impervia, eppure, riuscita nella sua aurea di follia (ché di follia si tratta, ma ben venga!) con un effetto da «drammone».

19 febbraio 2025

«Il ministero della solitudine», di “lacasadargilla”




Roma, Teatro Vascello
18 febbraio 2025

IL PALCOSCENICO NON S’ADDICE
ALLA SOLITUDINE

Il teatro è stato nei millenni sempre un valido specchio dell’umanità, riflettendo in ogni periodo i personaggi che l’hanno caratterizzata. E se nei tempi antichi, greci e romani, grazie alla commedia, sono riusciti a rappresentare i tipi comuni più risibili, più viziosi e più perfidi, e a renderli eterni tanto da essere poi riproposti aggiornati in epoche successive da altri autori straordinari, quando, nel secolo scorso, s’è tentato di dar voce ai silenzi delle solitudini sono stati pochissimi coloro che sono riusciti a tradurre per la scena i drammi sociali causati dall’isolamento coatto e dall’incomunicabilità. Due argomenti che con il teatro – per usare un modo di dire abbastanza esplicativo – fanno a cazzotti. Beckett, Cocteau e pochi altri trovarono un loro stile per arginare il problema, perché la comunicazione diretta è alla base del sistema teatro; idem, per ovviare alle difficoltà rappresentative del romitaggio degli esseri umani e della loro segregazione, un male che purtroppo oggi abbrutisce il mondo intero.

17 febbraio 2025

«Prima della Tempesta» di Antonella Civale


Roma, Teatro di Documenti
15 febbraio 2025

STREHLER & DAMIANI: LA MEMOIRE

Giorgio Strehler, da ragazzo, avrebbe voluto fare il direttore d’orchestra, ma poi optò per dirigere, da regista, gli attori in teatro: grazie alla sua straordinaria immaginazione, gli bastava posizionare un’orchestra in palcoscenico per dar vita con un tocco di bacchetta magica al grande concertato che furono le sue regie, un’arte dove tutto era ricerca della perfezione. Chi conosce, anche per sommi capi, La tempesta di Shakespeare non ha gran difficoltà a intuire quante analogie ci siano tra Prospero e Giorgio Strehler: «Il più grande di tutti», ripeteva Vittorio Caprioli appena sentiva nominare il grande regista del Piccolo, accompagnando l’asserzione con un gesto della mano che cancellava ogni possibilità di fraintendimento.

15 febbraio 2025

«Quell’ultima parata» di Fabrizio Bancale

Roma, Spazio Diamante
14 febbraio 2025

LA STORIA DI SEGHESIO: «CHI ERA COSTUI?»

Fabrizio Bancale ci racconta la storia di Mario Seghesio – chi mai sarà codesto Carneade? – e, da quell’ottimo documentarista che è, ne fa un ritratto, come è indicato nel sottotitolo, assolutamente verosimile, aggiungendo stralci di logica immaginazione laddove la biografia langue perché mancano notizie certe. Soprannominato «Gheghe», Mario fu un pioniere del calcio. Giocava tra i legni, quando ancora non si chiamavano pali. Era, infatti, un portiere, ma dalla carriera non proprio impeccabile: 80 presenze nell’Andrea Doria (storica formazione di Genova) dal 1921 al ’26 e 110 reti subite, una media piuttosto altina, per la verità, benché all’epoca il calcio fosse assai diverso da quello odierno. Tifoso del mitico Zamora, numero uno della compagine iberica, ma soprattutto ammiratore devoto di Francesco Calì, che gli appassionati di pallone certamente ricorderanno, con il nomignolo di Franz, nel ruolo di capitano nella prima sfida della nazionale italiana giocata a Milano contro la Francia (15 maggio 1910).

13 febbraio 2025

«A torto o a ragione» di Ronald Harwood

Roma, Teatro India
12 febbraio 2025

RECITARE DI SPALLE, UN’ARTE RARA E SOPRAFFINA

«Finché si potrà ascoltare la musica di Beethoven e di Wagner la gente sarà libera». E se a dirlo è Wilhelm Furtwängler, il messaggio è chiaro: l’avvertimento suona come un monito per la seconda serata del raduno canoro della riviera di ponente. Verrebbe da correre immediatamente per le strade e gridare a squarciagola: italiani spegnete la televisione e ascoltate l’Inno alla gioia o il preludio del Lohengrin, vi sentirete più liberi. D’altronde anche il direttore d’orchestra amato e stimato da Adolf Hitler fu salvato dalla musica. Non furono mai trovate prove che testimoniassero i suoi contatti con il Terzo Reich: motivo per cui il tribunale di denazificazione non riuscì a spedirlo sul banco degli imputati a Norimberga. Da questi fatti storici, il commediografo Ronald Harwood, di origini ebraiche, scrisse Taking sides (in Italia conosciuta come La torre d’avorio) che nel 2001 divenne una sceneggiatura per il film A torto o a ragione, di István Szabó. Titolo preferito dal regista Giovanni Anfuso in un intenso e convincente allestimento, in scena al teatro India fino a domenica. Troppo poco, se mi posso permettere!

12 febbraio 2025

«Antonio e Cleopatra» di William Shakespeare

Roma, Teatro Quirino
11 febbraio 2025

ANNA DELLA ROSA, REGINA LUSSURIOSA

C’è subito da annotare che con un simile possente testo (malgrado sia stato ridotto a 140’ senza intervallo) e una resa attoriale di ottima qualità, la visione di questo Antonio e Cleopatra lascia una sensazione assai gratificante. Quando un regista trova il coraggio di rilanciare un’opera di Shakespeare tra le meno frequentate e a cavarne uno spettacolo che appaghi le esigenze di un pubblico, che ha preferito una prima teatrale alla serata inaugurale dell’annuale remake televisivo di Papaveri e papere (un pubblico elitario, quindi), costui può ritenersi soddisfatto. Alla vigilia, infatti, si temeva che la kermesse canora avrebbe rapito spettatori alla platea del Quirino: nonostante qualche defezione, il timore è stato scongiurato.

11 febbraio 2025

«Il minimo comune viaggiatore» di Vincenzo Mascolo

IL CIELO SOPRA L’OLIMPO

Nel suo quotidiano peregrinare lungo i percorsi poetici, Vincenzo Mascolo si concede una sosta per fissare il suo quarto studio in versi, stavolta per i tipi di Interno Poesia. Tutte le raccolte di Mascolo sono, infatti, approfondimenti su un tema, quasi univoco e sempre solido, sicché ogni suo libro si legge come un discorso che si completa con frequenti e misurate riflessioni, come bere una bottiglia di vino corposo a piccoli sorsi e scoprirne infiniti pregevoli gusti e retrogusti. Per Il minimo comune viaggiatore, ultima silloge, in ogni pagina c’è un attento sguardo rivolto alla fine di ogni cosa. Il viaggiatore è l’occhio che scruta alla finestra della vita ed è minimo perché resta fisicamente fermo, appartato nel suo pensatoio, ma il suo spirito vola nello spazio e nel tempo, sì che le immagini dei ricordi si incrociano in dissolvenze critiche, ma tutte suggerite da un tenace sapere. Il viaggio di Mascolo – senza passaporto, ma sotto identità di un poeta celeste – è un continuo partire e approdare da una lettura all’altra, da un autore studiato in gioventù a uno scrittore della maturità. Un percorso sapiente, obbligato, in cui si possono (e si devono) ritracciare, come in un rebus, distillati di letteratura, appunto, corposa, cólta, protettrice.

09 febbraio 2025

Eliseo, storia di un teatro chiuso da cinque anni (3)

POVERO CYRANO:
Á LA FIN DE L’ENVOI… IL EST TOUCHÉ!

TERZA PARTE

Barbareschi, quindi, con grande abilità e prontezza, preparò il terreno per i secondi festeggiamenti del centenario presentando uno spettacolo grandioso, il Cyrano de Bergerac, personaggio certamente eroico, anche romantico, ma soprattutto con il naso abbastanza lungo da suggerire il facile paragone con l’altrettanto famoso burattino di Collodi. Malgrado qualche maldicenza, comunque, già al fastoso debutto del 30 ottobre 2018 fu proclamato il trionfo artistico: critiche favorevoli e repliche applauditissime. Arrivarono richieste dai maggiori palcoscenici d’Italia per accaparrarsi il diritto di avere in cartellone l’evento teatrale della stagione. Il clamore che suscitò la nuova sorprendente versione del Cyrano fece apparire più luminosa una ribalta che, da lì a breve, invece, si sarebbe spenta come una candela colpita da un soffio inaspettato. Lo spettacolo, infatti, nonostante il notevole successo, improvvisamente svanì nel nulla, come nella migliore tradizione di un’arte scritta sull’acqua.

08 febbraio 2025

«Guerra e pace» da Lev Tolstoj

Roma, Teatro Argentina
7 febbraio 2025

I DRAMMI NON SI DICONO A PAROLE, SI DEVONO VIVERE

Lettera aperta a Luca De Fusco, regista dell’allestimento

        Caro Luca,
essendo un osservatore di teatro totalmente libero e completamente anticonformista, con te mi permetto di usare la forma più confidenziale possibile per riflettere insieme sul tuo ultimo spettacolo. Premetto che al levar della tela, l’effetto è magnifico: scene, musiche, luci e tutti i personaggi che invadono lo spazio s’impastano perfettamente, anche grazie ai costumi, creando un’atmosfera che fa presupporre una grande opera corale (intendo attori e regia, compresi i collaboratori naturalmente). Parte della suggestione di magnificenza, in verità, accompagna lo spettatore sin dal foyer: il titolo che troneggia sui manifesti – Guerra e pace – non è un titolo qualunque, ma di forte impatto, essendo quello della più colossale pubblicazione letteraria dell’era moderna (1865). Ora, io capisco benissimo che, soprattutto in un’epoca culturalmente arida, come la nostra, i libri vengano letti con eccessiva parsimonia, e certamente sono rarissimi coloro che si dispongono a prendere in mano le circa 1.500 pagine scritte da Lev Tostoj; so anche perfettamente che molti italiani purtroppo restano affascinati dalla demenza delle oscene serie televisive; ma sappiamo bene, io e te, che libri e teatro necessitano di tempi differenti da quelli usati da una puntata di una fiction, dalla velocità e dalla sintesi che le pessime abitudini di oggi ci impongono.

07 febbraio 2025

«Dissonorata» di Saverio La Ruina

Roma, Teatro Quirino
6 febbraio 2025

LO CUNTO DI PASCALINA, FEMMINA DEL SUD

La settimana scorsa, la recensione di un altro spettacolo, visto all’Off/Off, cominciava così: «La terribile storia di Saman Abbas, già raccontata dai cronisti che hanno seguito quotidianamente la vicenda, dalla sua sparizione (1° maggio 2021) fino al ritrovamento del cadavere (18 novembre 2022), è diventata nel 2023 materia per primo un libro», e poi anche per un secondo. La trascrizione teatrale della tragica vicenda della diciottenne di origine pakistana, uccisa dai suoi stessi familiari perché giudicata «colpevole» di voler amare liberamente, era stata, in pratica, già immaginata, o quasi, nel 2006 da Saverio La Ruina. Con un finale meno drammatico, Dissonorata torna per un’unica rappresentazione sul palco del Quirino proprio nel giorno in cui è stata annunciata la vendita dello stabile alla United Artist di Roberta Lucca (moglie di Geppy Gleijeses, già direttore artistico nella passata gestione).

06 febbraio 2025

«La morte a Venezia» di Liv Ferracchiati

Roma, Teatro India
5 febbraio 2025

COM’È NOIOSA L’INTELLIGENZA
AL COSPETTO DELLA BELLEZZA

Tutto ciò che si porta sul palcoscenico diventa esibizione. Quando si porta un simbolo della bellezza, questo solitamente risulta vincente. Quando si vuole esibire l’intelligenza senza ironia, solitamente annoia. Quando, come in questo caso, intelligenza e bellezza si confrontano sotto i riflettori in uno scontro visivo e dialettico, l’intelligenza diventa un’insopportabile intrusa, una disturbatrice. Per di più, l’operazione di Liv Ferracchiati, ispirata all’innamoramento del professor Gustav von Aschenbach per il giovane Tadzio, descritto da Thomas Mann in La morte a Venezia, pare voglia dimostrare esattamente l’impotenza della parola cólta di fronte alla contemplazione della bellezza. «Meglio il tuo corpo che le mie parole», dice il professore in scena, sentendosi inadeguato al corteggiamento. Tuttavia occorre aver ben presente le possibilità che offre il mezzo con cui si vuol proporre l’esibizione della contesa/intesa: è sufficiente una ribalta spoglia (soltanto un telo dove si proietta l’immagine del bello) per realizzare un percorso scenico sullo scabroso rapporto tra due persone che non si conoscono?

05 febbraio 2025

«A cuore aperto» di Patrizio Cigliano

Roma, Teatro Belli
4 febbraio 2025

«PENSAVO CHE L’AMORE FOSSE UNA COSA SEMPLICE»

Patrizio Cigliano ripropone al Belli un suo cavallo di battaglia, A cuore aperto, scritto 23 anni fa e ormai giunto alla 19ª edizione, che, però, non avevo mai visto. Sul fondo della scena alcune valigie accatastate sembrano il bagaglio di una vita e in effetti lo sono. La canzone in sottofondo lo confermerebbe. All’interno, infatti, sono stipate tutte quelle «frasi d’amore di fedeltà che a un altro cuore ripeterà... Illusione, dolce chimera sei tu». Quel cuore aperto del titolo è una lunga lettera d’amore scritta a quattro mani, da Giuseppe e da Maria, marito e moglie, ormai anziani, che restano agganciati nell’ultimo sguardo, lungo un minuto, forse qualche attimo in più, durante il quale rivedono tutta la loro esistenza concentrata in un momento: da quando si sono conosciuti ragazzini e facevano il bagno nudi nel fiume, fino al primo rapporto, dalla nascita della loro figlia Checca, fino all’istante in cui la luce di lei si spegne tra le braccia di lui.

04 febbraio 2025

«Mistero buffo» di Dario Fo


Roma, Sala Umberto
3 febbraio 2025

QUANDO GESÙ ERA CHIAMATO PALESTINA

Bravo, Matthias, davvero bravo. E soprattutto coraggioso. Affrontare un classico del teatro moderno che parla di ieri come di oggi, del medioevo narrato dall’incantevole follia di Dario Fo, come fosse il presente di oggi e di domani, è un’operazione che merita un encomio. Ho riso, ma non nascondo di essermi anche commosso: Matthias Martelli non è Dario Fo – e guai a farne un paragone – ma, pur se con molte differenze, il suo Mistero buffo è talmente fedele nell’essere una giullarata che a tratti m’è parso di risentire il suono delle cavalcate di Dario ascoltate e riascoltate da ragazzo al teatro Tenda di piazza Mancini.

03 febbraio 2025

«La ciliegina sulla torta» di Diego Ruiz

Roma, Teatro Manzoni
2 febbraio 2025

IL FRIGORIFERO CHE TUTTI VORREMMO AVERE

Certi spettacoli possono anche non passare sotto l’osservazione della critica. In verità, sarebbe magnifico che non passassero nemmeno sotto i riflettori di un palcoscenico, ma siccome ci sta chi li scrive, siccome esistono attori che li interpretano, un teatro che li accoglie e un pubblico che li va a vedere, è bene che il cerchio si chiuda e che anche il critico affondi le mani laddove a volte sarebbe meglio evitare. È stato proprio il titolo, La ciliegina sulla torta, così poco entusiasmante, così banale, così d’uso comune, ad attirarmi in questo perverso circuito autolesionistico, e, quando una cara amica mi ha chiesto di accompagnarla al Manzoni, non mi sono opposto, e ho pensato che it’s a dirty job but someone has to do it, è uno sporco mestiere ma qualcuno deve pur farlo.

02 febbraio 2025

«Settantuno*» di Provenzano e Pisani

Centro Culturale Artemia
1° febbraio 2025

FLAVIO: «MEIN KAMPF» E ZUPPA DI LATTE (CON LA PELLICINA SOPRA)

È un piacere passare una serata, in completo relax, nel salotto di Maria Paola Canepa: se non fosse un po’ distante da casa ci andrei molto più spesso, sapendo di non saltare nemmeno il quotidiano appuntamento teatrale. Con un buon bicchiere di vino si incontrano anche i protagonisti dello spettacolo e insieme si chiacchiera. Nello Provenzano e Riccardo Pisani vengono da Napoli e portano a Roma, sulla Portuense, un testo assai curioso e scioccante. Leggo il titolo: Settantuno, ma seguito da un asterisco che segnala la spiegazione. Mi volto, incrociando lo sguardo del regista, e sorrido. Intuisce che conosco il linguaggio della smorfia napoletana e che il numero corrisponde a l’ommo ‘e mmerda. L’asterisco in locandina, infatti, rimanda all’esegesi tradotta in lingua: l’uomo di… be’ non dovrebbe essere difficile nemmeno per uno svizzero!

01 febbraio 2025

«Saman» di Cardillo/Apolloni

Roma, Off/Off Theatre
31 gennaio 2025

UCCISA PERCHÉ INNAMORATA DELLA VITA

La terribile storia di Saman Abbas, già raccontata dai cronisti che hanno seguito quotidianamente la vicenda, dalla sua sparizione (1° maggio 2021) fino al ritrovamento del cadavere (18 novembre 2022), è diventata nel 2023 materia per un primo libro Saman, vita e morte di una ragazza italiana, di Jacopo Della Porta ed Elisa Pederzoli (ed. Aliberti), e poi, lo scorso anno, argomento per una seconda pubblicazione di Gianmarco Menga, «Il delitto di Saman Abbas. Il coraggio di essere libere» (Newton Compton ed.). Ora il dramma arriva in palcoscenico per la trascrizione teatrale di Gianni Cardillo e Francesco Apolloni che si sono ispirati all’opera omonima di Della Porta e Pederzoli. È sempre bene che se ne parli: far conoscere i particolari di una vicenda tanto sconcertante aiuta a capire quanto grave sia il delitto civile commesso nei confronti di una ragazza di appena 18 anni, uccisa dai genitori (e da altri familiari) perché da essi giudicata «colpevole» di voler vivere la vita. Il primo pensiero va a Saman, alla sua memoria, al suo desiderio di libertà.

Pour vous